Testo del Punto_luce di_ottobre saricabile_2022.pdf

Carissime e carissimi tutti,

la vocazione di noi cristiani è l’amore, che si esprime nei vari aspetti della vita concreta, fra questi è prioritaria l’importanza della vita apostolica, del nostro impegno cioè nell’evangelizzare il mondo in cui viviamo prima di tutto con la testimonianza della nostra vita e poi con l’annuncio esplicito.

Apriamo, allora, il nostro cuore agli altri con cui viviamo e che ogni giorno incontriamo, sapendo che tutti siamo amati da Dio, che per tutti Gesù ha versato il suo sangue sulla croce, che siamo tutti figli e figlie dello stesso Padre.

Facciamoci divorare come gli apostoli dal fuoco della carità e dall’ardore missionario, che li ha spinti ad andare in tutto il mondo e a dare la vita per Gesù.

Siamo chiamati a vivere la missione evangelizzatrice della Chiesa là dove viviamo e operiamo

 

Vita apostolica

Il Verbo di Dio, incarnandosi e morendo in croce per noi, ci ha resi partecipi della sua vita divina accogliendoci nella Trinità, prima di andarsene ha inviato gli apostoli in tutto il mondo per proclamare il Vangelo della salvezza a ogni creatura (cf. Mc 16,15). La Chiesa continua la stessa missione evangelizzatrice degli apostoli, depositaria della buona novella, è inviata all’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi per annunciare che Gesù è il Salvatore e il Redentore di tutti e dell’intera creazione.

Anche noi, membra della Chiesa, siamo chiamati ad evangelizzare gli altri proclamando la buona notizia della salvezza, testimoniando il Vangelo della carità non solo con la parola, ma soprattutto col nostro amore reciproco. Gli altri dovrebbero riconoscerci come autentici discepoli di Gesù da come ci amiamo vicendevolmente. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,15), in tal modo Gesù ci esorta a vivere in comunione fra noi. L’esito dell’evangelizzazione appare così legato alla nostra testimonianza; prima della parola deve essere la nostra vita a parlare: la testimonianza della comunità unita nel nome di Gesù. Siamo chiamati a comunicare la nostra fede; memori dell’affermazione di Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra: e quanto vorrei che fosse già acceso» (Lc 12,49), dobbiamo prodigarci in mille modi per la causa del Vangelo. Nella lettera ai Romani l’apostolo Paolo spiega l’importanza dell’annuncio: «Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rom 10, 14b17).

Col fervore degli apostoli non arrestiamoci davanti a nessuna difficoltà sentendo in noi forte e chiaro l’imperativo di Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (1Cor 9,16).

L’amore scambievole è, dunque, il fondamento del nostro annuncio, è il fuoco che contagia gli altri venuti a contatto con noi, perché così il Regno di Dio si diffonda nel mondo e tutti diventino una cosa sola in Cristo Signore.

L’amore vicendevole deve estendersi a tutti indistintamente, perché siamo figli e figlie dello stesso Padre; perché questo avvenga è necessario che la nostra vita apostolica sia incentrata sulla carità fra noi e verso ogni prossimo che incontriamo. Dobbiamo imparare ad amare ogni persona con totalità, senza pensare a chi abbiamo incontrato prima o a chi incontreremo dopo. Saper sostare per sentire i vari bisogni di ogni fratello o sorella con cui veniamo a contatto è la via maestra per annunciare la buona notizia del Vangelo.

Amare gli altri significa immedesimarsi, comprenderli, donarsi a tutti e a ciascuno senza ripiegamenti su di sé, rinnegando il proprio io. Se sapremo stabilire dei veri rapporti di amicizia sarà più facile che gli altri, attirati dal nostro modo di relazionarci con loro, siano interessati alla nostra vita e ci domandino di parlare della nostra fede. Non è possibile l’annuncio evangelico se prima non ci sia chi ascolta, è questa la condizione previa per l’efficacia dell’evangelizzazione.

Se poi ci vengono affidate delle persone dobbiamo fidarci della missione che ci è stata data e superare ogni timidezza nel lavorare per il Regno di Dio, sapendo aiutare con pazienza gli altri a crescere nella fede coi loro tempi, fino a immetterli nella vita della comunità cristiana, senza legarli a noi con un rapporto puramente umano e personale.

Va anche tenuto presente che Dio ha un preciso disegno d’amore su ciascuno e che aiutare il fratello o la sorella a noi affidati è anche accompagnarli nella scoperta della loro vocazione perché trovino il loro posto nella Chiesa e nella società.

Anche se, a volte, la vita apostolica ci chiede di parlare a un gruppo o a una folla, va, però, tenuto presente che, come per Gesù, che ha chiamato gli apostoli ad uno ad uno, così per noi, quel che conta è il rapporto personale con ciascuno; se vogliamo edificare la comunità e la Chiesa con l’apporto di nuovi apostoli del Vangelo, dobbiamo essere pronti a farci usare da Dio come suoi strumenti per conquistare altri a Cristo, prendendoci cura di ciascuno.

Anche con i membri delle nostre famiglie, a volte lontani da Dio e divisi da varie tensioni, è importante saper restare in contatto, ricorrendo, se è il caso, a piccoli segni: un dono, un saluto, una visita, tutto può servire a lasciare un varco per Dio aperto nei loro cuori.

La nostra vita apostolica deve rivolgersi a tutti, indistintamente, a cominciare da coloro che Dio ci affida, operando con amore perché tutti siano una cosa sola in Cristo Gesù.

 

 

 

Inserimento ecclesiale e sociale

In quanto cristiani, là dove lavoriamo o operiamo, siamo chiamati a essere segno e sacramento della comunione trinitaria nella Chiesa e nella società, perché il mondo creda all’efficacia della Buona Novella.

Dobbiamo anzitutto vivere tra noi, come comunità cristiana, quella comunione nello Spirito, che desideriamo comunicare agli altri; solo così gli autori della nostra missione saranno Gesù e Maria presenti nella nostra reciproca unità e operanti tramite noi.

È questo il senso di un inserimento ecclesiale e sociale efficace e incisivo al di là dei diversi impegni apostolici e della varietà di forme e di presenza, a seconda della vocazione di ciascuno.

Né si può svolgere un vero servizio apostolico senza essere in dialogo con i vescovi e senza tener conto degli orientamenti del Magistero.

All’interno della Chiesa e della società un’azione apostolica ispirata al Vangelo della carità deve, a mio avviso, mirare a stabilire rapporti trinitari tra persone, gruppi e istituzioni, promuovendo la comunione tra il sacerdozio ministeriale e quello regale. In tutto questo il principio mariano accanto a quello pietrino perfettamente armonizzati aprirebbero la Chiesa e la società a una nuova comprensione del ruolo della donna e a una nuova visione della persona umana integralmente presa e potenziata nelle sue energie vitali e nella sua dignità.

In ogni campo il contributo di ogni persona, istituzione o movimento andrebbe ordinato allo sviluppo della dimensione comunionale della Chiesa, valorizzando nell’unità lo specifico apporto dei vari progetti apostolici.

Siamo chiamati ad essere agenti di trasformazione, favorendo una visione trinitaria delle strutture sociali, che dia più spazio alla collaborazione e valorizzi le diverse funzioni e competenze.

L’amore e l’apertura alla Chiesa e alla società deve animare ogni iniziativa apostolica.[1] 

È importante, in ogni ambiente e in ogni circostanza, agevolare la comunione tra le persone di varia età, nel rispetto di ogni distinzione, a cominciare da quella fondamentale: uomo-donna. La promozione della donna, il rispetto dei ruoli e delle funzioni di ogni persona nell’armonia dell’insieme, l’unificazione della persona umana e delle sue energie affettive e psico-fisiche ordinate all’Amore sono elementi fondamentali di un vero itinerario formativo personale e comunitario improntato al Vangelo.

Solo una profonda e radicale apertura a Dio Amore può darci una nuova visione della Chiesa e della società.

 

Missione evangelizzatrice

Evangelizzare è la vocazione della Chiesa, la sua ragion d’essere; oggi più che mai la nostra missione deve essere quella di cooperare all’estensione e al consolidamento della Chiesa-comunione, in vista di chiamare, tramite lei, l’umanità a partecipare alla vita trinitaria nella quale Cristo Signore ci ha immessi incarnandosi e morendo in croce per noi.[2]

Perché la comunione trinitaria informi sempre più la Chiesa e la società, perché il Vangelo della carità animi sempre più le persone e le strutture ecclesiali e sociali, non va poi dimenticata l’importanza della presenza di Maria nella missione evangelizzatrice, in unità con lei diventerà più facile condurre i cuori a Gesù, amare ogni persona con un cuore di madre, col suo cuore, è questa una strada efficace per l’umanizzazione e cristianizzazione della società, oltre che per la vivificazione della Chiesa.

La nostra missione deve tendere a suscitare una corrente di vita e di spiritualità rappresentata da persone di varia estrazione, età, stato di vita, credo, cultura e nazionalità che, in modi diversi, vengano attirate e influenzate da un autentico spirito di comunione e lo diffondano là dove vivono e operano.[3] In tal modo inietteremo una nuova energia vitale nella compagine ecclesiale e sociale, contribuendo non poco ad aprire i cuori all’accoglienza della buona novella. Per la strada dell’unità e della comunione fra persone, realtà, gruppi, popoli, il mondo potrà camminare sulla traiettoria del Vangelo ritrovando l’itinerario percorribile per arrivare dalla terra al Cielo. La nostra missione evangelizzatrice è quella di indicare all’umanità di oggi, assetata di amore e di bellezza, il segreto della Vita nuova: l’unità di tutti in Cristo, in comunione con la Vergine Madre.

 

 

 

                                                                                                          Sr. Nunziella

 

[1] Cf. Costituzioni delle Suore del Bell’Amore, Vita apostolica, cap. V.

[2]  Cf. Costituzioni…, cap, I, art. 2.

[3] Cf. Direttorio…, cap, IV, art. 56.

 Punto_luce_lug-ago_2022.pdf

Carissime e carissimi tutti,

vengo a voi per riprendere il nostro cammino sulla via dell’Amore, puntando decisamente sulla misericordia reciproca per rendere salda la nostra comunione e la nostra unità. Solo l’amore di misericordia, infatti, può farci capaci di comprendere e perdonare le nostre reciproche fragilità per camminare speditamente sulla strada della santità.

Se due o più persone si uniscono nel nome di Gesù, amandosi reciprocamente fino al punto di essere disposte a dare la vita anche nelle piccole evenienze della quotidianità, in tal caso Gesù è in mezzo a loro; esse diventano cioè una cellula del Corpo mistico portatrice di una speciale presenza del Risorto. Gesù fra noi nella comunità unita nel suo nome è, infatti, fonte di luce e di gioia, la vita, con lui in mezzo a noi, è dinamica, nel senso che non è statica e risente della nostra corrispondenza alla grazia. Se l’uno e l’altra di noi anche per un momento non ama, esce fuori dal circuito della reciproca unità, in tal caso, la presenza operativa di Gesù in mezzo a noi può restare per la fedeltà degli altri membri della comunità; se poi è il gruppo che ha delle tensioni, anche se le persone possono essere in grazia di Dio, anche se non si trattasse di gravi disunità, tuttavia la pienezza di gioia propria di Gesù fra noi verrebbe meno. Perché non ci sia più tale unità in Cristo Signore, non è necessario che succeda chissà che cosa; perché si spezzi l’unità basta non “fare unità”, esprimere per esempio con forza il proprio punto di vista; la forma fa parte del contenuto, spesso un’idea diversa espressa senza garbo e senza il dovuto distacco, anche se giusta, non costruisce il rapporto con gli altri e non è neanche capita.

Se l’unità si è spezzata, se dopo avere sperimentato la bellezza della pienezza di Gesù fra noi siamo usciti fuori da queta vita con lui, non ci è concesso di trovare un’altra strada per andare avanti, siamo come coloro che hanno smarrito il sentiero che conoscevano e si perdono nella boscaglia; sanno, però, che quella non è la strada, perché ormai la luce dell’unità in Cristo li ha folgorati e annaspano nel buio cercando quella presenza di Gesù già sperimentata nella comunione vissuta, ma non possono ritrovarla se non ritornano ad amare.

Se vogliamo tornare a vivere con Gesù fra noi, dobbiamo ricomporre l’unità attraverso l’esercizio della misericordia reciproca.

Per alimentare la presenza di Gesù in mezzo a noi e mantenerla viva e duratura, è indispensabile sapersi perdonare a vicenda e ricominciare sempre dopo ogni caduta; per far questo ho sperimentato personalmente l’efficacia di legarci reciprocamente con un patto di misericordia.

Anche i santi non sono coloro che non sbagliano mai, ma coloro che sanno ricominciare. Vivere la misericordia verso l’altro che ha sbagliato e verso se stessi significa saperci vedere sempre nuovi.

La misericordia più difficile è, a volte, quella verso se stessi.

C’è probabilmente un certo rapporto tra la misericordia e l’umiltà: chi è umile è misericordioso.

L’umiltà ci rende misericordiosi verso noi stessi. Essere umili significa, in fondo, essere intelligenti, avere la coscienza di ciò che siamo, è sapere chi siamo davanti a Dio: egli è tutto e noi siamo nulla, egli è il Creatore e noi siamo creature; quello che abbiamo non ci appartiene, non ce l’avremmo se egli non ce lo avesse dato. Intelligenza, attitudini, capacità, salute, tutto è dono di Dio, non è una nostra proprietà; solo i nostri peccati sono nostri, ma possiamo offrirli a Dio affidandoci alla sua misericordia; egli, infatti, ci ama così come siamo, anche con i nostri limiti e le nostre fragilità.

Ogni giorno Dio ci raggiunge nella nostra piccolezza con la sua misericordia, rimettendo a noi i nostri debiti così come noi dobbiamo rimetterli ai nostri debitori. Siamo chiamati ad avere verso gli altri quella misericordia che Dio per primo ha verso di noi.

Se abbiamo sperimentato la misericordia nel rapporto con Dio ci sarà più facile esercitarla con gli altri nella reciproca carità. Dobbiamo amare gli altri con lo stesso amore con cui Dio ama noi. Se per le nostre colpe si spezza il vaso della nostra vita, Dio non incolla i cocci, ma fa un vaso nuovo: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20b); «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve […]» (Is 1,18).

Dio ci ricrea e là dove sovrabbonda la sua grazia tutto è nuovo e più bello di prima, la stessa dimensione di amore siamo chiamati a viverla noi col patto della misericordia reciproca. Se gli altri sbagliano verso di noi, dobbiamo saperli perdonare e vederli nuovi, senza ricordare le offese subite, riaprendoci alla fiducia, come se facessimo di nuovo la loro conoscenza, quasi non li avessimo mai conosciuti. Tutto può cambiare, non dobbiamo mai dire che non c’è niente da fare, che l’altro è così e non sarà mai diverso. Non sappiamo come Dio con la sua grazia può sempre agire nei cuori dei suoi figli e figlie.

Leghiamoci, allora, per sempre col patto di misericordia e per aiutarci a fare questo cammino di riconciliazione con noi stessi e con gli altri, proviamo, ogni sera, andando a letto, a seppellire, per così dire, la nostra vita di prima coi suoi successi e i suoi fallimenti e alziamoci, ogni mattina, guardando noi e gli altri con occhi nuovi. Tutto può ricominciare meglio di prima. Anche il positivo di ieri non deve legarci, perché Dio può fare oggi qualcosa di più bello e di più grande. Ancor meno il negativo di ieri deve bloccarci perché Dio sa scrivere dritto sulle righe storte e tutto concorre al bene per coloro che credono in lui e sono stati chiamati secondo il suo disegno (cfr. Rm 8,28).

Il patto di misericordia va rinnovato in ogni momento, sapendo trarre profitto anche dalle nostre cadute.

I santi sono dei peccatori che hanno creduto nell’amore di Dio.

Instauriamo, allora, tra noi, un clima di misericordia reciproca, perché uno sguardo sempre rinnovato su ciascuno impedica qualunque incrinatura della comunione.

Per ricomporre l’unità, impariamo a chiederci esplicitamente scusa con semplicità e trasparenza.

La comunione fra noi è più sicura se poggia su un patto di misericordia fondato sul perdono vicendevole. Solo così la fede nell’Amore ci fa capaci di dare la vita gli uni per gli altri nelle varie vicende di ogni giorno, non contando sulla nostra fragilità umana, ma su Gesù, che ci fa uno in lui. In tal modo, l’amore reciproco diventa testimonianza viva della presenza del Risorto, che vive e opera fra noi, attirando tutti e tutto a sé.

  

Restiamo uniti in Gesù fra noi,

sr. Nunziella

Punto_luce_settembre_2022.pdf

 

Carissime e carissimi tutti,

nel camminare insieme sulla via dell’Amore, non possiamo non tener conto di tutti gli infiniti aspetti concreti del nostro vivere quotidiano, nei quali e attraverso i quali siamo chiamati a concretizzare il nostro amore per Dio e per gli altri.

Davanti a mille stimoli e alle varie vicissitudini di ogni giorno dobbiamo continuamente prendere mille piccole e grandi decisioni che ci chiedono di avanzare verso sempre nuovi traguardi, attraverso un costante discernimento e un’umile ricerca della volontà di Dio personale e comunitaria.

 Comunione dei beni e giustizia evangelica

Se stabiliamo con gli altri un rapporto di autentica comunione in Cristo, sperimenteremo la presenza di Gesù fra noi, nella gioia dell'amore scambievole.

L'Amore, che è Dio, quando si incarna nella nostra realtà umana, si esprime in tutti gli aspetti concreti della vita. Le varie dimensioni della nostra esistenza vengono, in qualche modo, assunte da Gesù per riflettere e manifestare l'Amore in modi diversi.

Il primo di questi aspetti concreti, che tutti siamo chiamati a vivere, riguarda l'economia. Potremmo dire che la prima cosa che siamo chiamati a fare, andando dietro a Gesù, è quella di mettere in ordine i nostri conti. Qualcuno, forse, si aspetterebbe che, come primo aspetto, menzionassi la preghiera, e invece no; non per niente la prima cosa che Gesù chiede a chi vuol seguirlo è: «Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21).

Non voglio qui parlare del voto di povertà che fanno i religiosi e le religiose, ma della povertà richiesta a tutti i cristiani indistintamente. Non c'è compatibilità fra Gesù e una non equa distribuzione della ricchezza. Chiediamoci, allora, quale sia il senso profondo di questo regolare i nostri conti. È la beatitudine: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3), non si può essere con Gesù e non essere poveri in modo evangelico.

La parola del Vangelo che indica il modo in cui va vissuto questo aspetto dell'Amore è: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Se cerchiamo Dio, posponendo ogni cosa a lui, tutto il resto, anche il centuplo su questa terra, anche i beni materiali ci saranno dati in aggiunta, perché abbiamo cercato Dio e non i nostri interessi umani. È questa una promessa evangelica: dei primi cristiani è detto che non c'era fra loro nessun indigente, perché facevano la comunione dei beni fra loro (cfr. At 2,44-45).

Se vogliamo essere discepoli di Gesù, veri cristiani del nostro secolo, dobbiamo seguire Gesù in modo totalitario, ognuno secondo la propria vocazione, ma in pienezza.

La maniera concreta di realizzare la comunione dei beni fra noi dipenderà dalle varie situazioni, l'importante è che ciascuno incarni la sua scelta di Dio anche nel modo di usare i pochi o molti beni che possiede, sapendo al momento opportuno metterli a disposizione degli altri.

Il frutto della nostra comunione dei beni sarà allora un patrimonio, un capitale che l'Amore amministrerà a beneficio di tutti. La comunione dei beni realizza la vera giustizia.

Maria, nel Magnificat, indica i criteri di una nuova economia, basata sulla giustizia e sulla comunione, nella quale i ricchi condividono i loro beni con i poveri, in vista di una società più equa.

Quando nelle nostre comunità o nelle nostre famiglie non arriva il “centuplo”, dovremmo per prima cosa esaminarci per vedere se abbiamo veramente cercato prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia; del resto non serve a niente  nemmeno dare i nostri beni ai poveri se non abbiamo cercato prima di tutto il regno di Dio, perché, come dice san Paolo: «E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). L'equa distribuzione della ricchezza fra noi è conseguenza dell'amore.

Se ho due paia di scarpe, mentre il fratello o la sorella non ne hanno, io ne do uno.

I primi cristiani ci indicano, nella comunione dei beni vissuta, il fondamento e l'espressione concreta della reciproca carità, come loro anche noi siamo chiamati a mettere in comune i nostri beni materiali e spirituali: talenti, competenze, attitudini, ricordandoci che nella vita si ha sempre quel che si è donato.

Dobbiamo imparare a vedere nelle varie vicende e situazioni, che possono toccarci più o meno da vicino, uno stimolo o una provocazione per rifare la nostra scelta di vita cristiana, vivendo le perenni istanze del Vangelo, che ci aprono ai più poveri: senza tetto, senza casa, senza patria, senza lavoro…

Se ci amiamo scambievolmente come Gesù ci chiede, egli stabilirà fra noi il suo regno di giustizia e di pace.

Nelle nostre umane vicende Dio agisce misteriosamente, con la sua Provvidenza, basti pensare alle parole di Gesù nel Vangelo: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28b-29).

Se cercheremo anzitutto Dio e la sua giustizia in ogni momento, tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta. Non preoccupiamoci del domani, fidiamoci della Provvidenza, sapendo aprire il cuore agli altri, per questa strada non tarderemo a sperimentare il centuplo promesso da Gesù.

 Il lavoro

Un'altra dimensione importante di questo aspetto dell'Amore è il lavoro: lavoro e capitale vanno insieme; dovremmo coltivare un altissimo senso del lavoro.

Il Verbo di Dio, venendo su questa terra, ha lavorato con le sue mani. Bisogna avere il senso giusto del lavoro: dobbiamo lavorare come Gesù, come Maria e come Giuseppe a Nazareth.

Il lavoro fatto bene, col suo relativo guadagno, ci permette di concretizzare l'amore, contribuendo alla nascita di una società più equa.

Gesù, Maria e Giuseppe, nell'incantevole quadro della casa di Nazareth, ci mostrano la bellezza di una vita povera, semplice e laboriosa, dove il lavoro umano acquista il suo autentico valore.

I frutti del lavoro, ben impiegati, ci permettono di provvedere ai nostri bisogni e di aiutare gli altri, in modo che la circolazione dei beni materiali favorisca la comunione, divenendo fondamento ed espressione concreta dell'amore scambievole.

Il lavoro è il mezzo per guadagnarci la vita onestamente, memori di san Paolo che dice: «Chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10), dobbiamo avere un elevatissimo concetto del lavoro, esso non è un'appendice o un'aggiunta alla nostra vita, ma la nostra stessa vita o almeno parte integrante di essa: diamo gloria a Dio lavorando.

Il lavoro o il guadagno sono per Dio e per costruire il Suo Regno; la Provvidenza non farà mai mancare i mezzi a chi lavora per la gloria di Dio.

 Economia comunionale

Il Creatore ha dato il mondo e la terra all'umanità come dono d'amore, perché giovi alla sua crescita umana e spirituale. La possibilità di vivere senza precarietà e di dare un contributo al bene comune è inscritta nella dignità della persona e non può esserle negata.

L'universale destinazione dei beni comporta che ogni proprietà e, in particolare, quella dei mezzi di produzione, diventa ingiusta, se danneggia gli altri, riducendoli in miseria, rompendo il circuito della comunione fra persone, gruppi, popoli, istituzioni.

In un mondo pieno di contrasti e, non di rado, di prevaricazione, è importante la testimonianza di chi sceglie la povertà per il Regno dei cieli, è un richiamo evangelico a vivere la comunione dei beni, perché non ci sia nessun indigente.

Non possiamo chiudere il cuore al grido dei poveri e dei popoli soggetti alla fame e al sottosviluppo.

È tempo di scoprire la possibilità di una nuova circolarità dell'economia, che aiuti i più poveri a entrare nell'economia mondiale come protagonisti, in una sana interdipendenza.

La logica del lavoro e delle imprese non può mirare al solo profitto, ma al rispetto delle esigenze della persona, ma qui dobbiamo parlare della necessità di una nuova visione dell'economia.

La ricerca del regno di Dio “prima di tutto il resto” ci fa scoprire un nuovo modo di concepire l'economia.

Non si tratta di economizzare per abbellire la propria casa, per comprare una macchina nuova o la pelliccia di visone, ma di sperimentare, con la vita, la verità delle parole del Vangelo secondo le quali a chi dà sarà dato e il resto giungerà in sovrappiù (cfr. Lc 6,38; Mt 6,33).

Il centuplo per chi segue Gesù è assicurato.

 La proprietà privata

Il fondamentale diritto alla proprietà e all'iniziativa è l'espressione della libertà della persona, aperta alla comunione. Ogni bene materiale, intellettuale e spirituale ci è dato da Dio per edificare sia chi lo riceve, sia l'intera umanità. Tutto deve circolare, come nella Trinità tutte le cose del Padre sono del Figlio e viceversa (cfr. Gv 16,15).

  La proprietà privata permette il libero uso e usufrutto dei beni e stimola la creatività; la sua violazione o il suo non riconoscimento provoca non pochi problemi per la pacifica convivenza e lo sviluppo umano e sociale dei popoli. Il diritto all'iniziativa e alla proprietà garantisce il costruirsi di una società guidata dalla libertà e l'instaurarsi di un'economia, in cui il mercato e l'impresa non impediscono la corresponsabilità e la partecipazione attiva delle persone; la collaborazione si attua in modi diversi: o mettendo a disposizione la mano d'opera o il capitale e i mezzi di produzione.

 Ecologia e ambiente

Un'autentica economia, ispirata dal Vangelo, sa, inoltre, che ci sono dei beni che non si possono trafficare, né vendere, né comprare, fra questi, per esempio, la vivibilità dell'habitat naturale del nostro pianeta, ormai minacciato sul piano ecologico. L'umanità è aiutata o danneggiata nella sua crescita dall'ambiente circostante. Enormi sono i danni di un'ecologia sconvolta da un'azione umana sconsiderata.

Vorrei, a questo proposito, citare un'esperienza personale: mi trovavo a Casa Madre, intenta a pregare in Cappella, in un afoso giorno d'estate; ero affranta dalla calura estiva più che tropicale a causa delle conseguenze dell'urbanizzazione, che, a Palermo, ha fatto sparire il verde dalla città.

Immersa in un certo raccoglimento, stavo per formulare un atto di accettazione della sapienza di Dio creatore, che ha voluto il caldo e il susseguirsi delle stagioni, quando mi sono fermata e ho capito che, nella mia preghiera di quel momento, non sentivo tanto di lodare Dio per il ritmo del caldo e del freddo dell'anno solare, quanto piuttosto di amare la presenza di Gesù crocifisso nel dolore e nelle piaghe di un'umanità che aveva alterato la natura, invece di collaborare col Creatore. Dio, infatti, ha certamente creato ampi spazi naturali sufficienti per ogni uomo o ogni donna del globo e non ha predisposto, nella sua provvidenza, né che le case in muratura sorgessero, sconsideratamente, una accanto all'altra, né che le macchine e le industrie si addensassero in pochi metri quadrati, rendendo la calura estiva quasi insostenibile per l'assenza della più piccola zona d'ombra in grandi agglomerati urbani.

Come dare noi, fin da ora, il nostro contributo perché il nostro pianeta diventi più vivibile, tenuto conto del riscaldamento globale a causa delle eccessive emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera?

Vigiliamo nel nostro piccolo angolo di mondo perché, per quel che dipende da noi, ogni bene materiale e spirituale sia rispettato e restituito al suo fine, secondo la sua destinazione universale.

Tutto è di tutti. Dobbiamo saper condividere ciò che abbiamo e rispettare l'ambiente in cui viviamo, custodendo il creato, non gettando carte per strada, non calpestando le aiuole pubbliche; mettiamo i nostri talenti a disposizione di chi ce li domanda, promuovendo iniziative efficaci per il bene comune come la scelta dell’energia pulita.

Impariamo ad abbracciare con lo stesso Amore le persone e la creazione, nel loro ordine distinto; amiamo tutti e tutto, momento per momento…

 Promozione sociale

I popoli con le loro angosce ci interpellano drammaticamente.

La situazione attuale del mondo esige un'azione unitaria e articolata, ispirata a un’autentica visione evangelica.

I primi cristiani mettevano tutto in comune e non c'era fra loro nessun indigente, dobbiamo vivere secondo questa visione.

Il mondo è assetato di giustizia, tuttavia non saremo mai capaci di operarla, se non impariamo a condividere ciò che abbiamo con chi ci è più vicino, con chi sta forse di fronte alla porta di casa nostra.

«I poveri… li avete sempre con voi» (Gv 12,8). Dove sono? Bisogna saperli trovare, forse stanno proprio nella cerchia dei nostri parenti. Forse si tratta di quella nostra zia che vive sola e abbandonata, mentre noi stiamo bene e godiamo di tanto superfluo; forse si tratta di un amico, la cui famiglia attraversa un momento difficilissimo.

Apriamo gli occhi, scoviamo come san Vincenzo de' Paoli i poveri nei loro nascondigli, andiamoli a trovare e amiamoli, al punto da "farci perdonare" se portiamo loro qualcosa da mangiare: è un atto di riparazione più che di carità. Solo così il grido dei popoli della fame ci troverà capaci di intenderlo e sapremo lavorare e impegnarci anche sul piano sociale, in modo da favorire il corso della giustizia e della pace nella nostra nazione e fra le nazioni.

La prima giustizia comincia da casa nostra, tuttavia non può arrestarsi né al nostro ambiente, né al nostro paese.

Il mondo esige oggi dei cambiamenti arditi a servizio della fraternità dei popoli, nella lotta contro la fame, l'ignoranza, il sottosviluppo, la miseria. Bisogna adoperarsi incessantemente perché i diritti fondamentali della persona siano rispettati.

Nella misura delle nostre possibilità e capacità, siamo chiamati a dare il nostro contributo nell'ambito della promozione sociale, pur sapendo che la pienezza della comunione non può mai raggiungersi su questa terra a partire da un impegno puramente sociale, perché il regno di Dio non è di questo mondo e l'economia esaustiva è quella della salvezza in cui Cristo Gesù ha assunto la nostra umanità e ha messo in comune con noi la sua stessa vita trinitaria, aprendoci il varco alla Trinità; lì in Dio, nell'eterna beatitudine del Cielo, godremo un giorno quella comunione che avremo ricercato e vissuto su questa terra anche attraverso i segni concreti della carità e della condivisione.

 

Giugno 2022

  

La comunione trinitaria

 

Punto luce giugno 2022.pdf

 

Carissime e carissimi tutti,

in questo Punto luce vorrei meditare con voi sull’insondabile mistero della Trinità per cogliere qualcosa di questo immenso oceano di luce e vivere con rinnovato ardore la comunione con gli altri, mutuando i nostri rapporti reciproci dalla vita della Trinità, di cui Cristo Gesù ci ha resi partecipi con la sua incarnazione.

Anche se piccolissimi davanti a Dio, egli nella sua estrema tenerezza, si è degnato di introdurci nel suo mistero. Siamo fin d’ora, in forza del battesimo, figli e figlie nel Figlio, immersi nel seno del Padre anche se continuiamo a vivere la vita quaggiù.

Cerchiamo, allora, le cose di lassù dove è Cristo nella gloria alla destra del Padre, lì siamo attesi, lì dobbiamo volgere il nostro sguardo e orientare la nostra speranza.

 

Nell’incarnazione del Verbo, al momento dell’Annunciazione, Dio si è rivelato per la prima volta come comunione d’amore di tre Persone uguali e distinte.

Il Verbo si è fatto carne in Maria, divenendole figlio. In Gesù e nella Vergine Madre si è così espressa nella carne la relazione nello Spirito Santo che lega il Padre e il Figlio nella Trinità.

Il Figlio generato ab æterno dal Padre, è generato nella carne da Maria.

La pienezza di vita delle Persone divine sta nel continuo donarsi, nell’essere l’una per l’altra dono e perfetta reciprocità.

Gesù, Verbo incarnato, viene a renderci partecipi di tale relazione trinitaria.

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, tutta la nostra vita ha da essere una lode di gloria alla Santissima Trinità, e questo sia personalmente, sia insieme come comunità di salvati.

Per vivere tale comunione trinitaria non dobbiamo, però, collezionare belle relazioni fra noi, ma accogliere in noi lo Spirito Santo per farci guidare interiormente dalle sue mozioni e stabilire con tutti e con ciascuno una vera relazione in Dio.

Nell’ineffabile armonia della comunione trinitaria, il Padre, nella sua suprema kenosi d’amore, genera il Figlio che a lui ritorna. Lo Spirito, procedendo da entrambi, è l’Amore increato, l’unità del Padre e del Figlio.

Il «tu in me e l’io in te» (Gv 17,21) delle Persone divine fonda la loro mirabile unità-distinzione.

La Trinità è completa in se stessa. Il Padre è nel Figlio, il Figlio è nel Padre, nello Spirito.

Il Cristianesimo è fede nell’Amore che esiste, che crea, che salva e redime: questo è Dio-Trinità.

Contemplare la Trinità è immergersi in un oceano di delizie, nella vita di Dio, nella sua insondabile intimità.

Siamo stati creati per vivere la vita trinitaria fra noi, ciò è possibile se condotti dalla grazia amiamo, come figli e figlie nel Figlio, l’eterno Padre, facendo la sua volontà.

Come possiamo fare questo nella vita di ogni giorno?

C’è un episodio del Vangelo che può illuminarci a questo proposito quando Maria e Giuseppe recatisi a Gerusalemme smarriscono Gesù e lo cercano angosciati; ritrovatolo intento a parlare coi dottori del Tempio, Maria gli domanda: “Perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo.”. E Gesù risponde: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Il Vangelo poi continua dicendo che Gesù scese a Nazareth e stava loro sottomesso. Si direbbe che qui ci sia una contraddizione fra Giuseppe, il padre terreno, e il Padre; in realtà la sottomissione d’amore di Gesù a Giuseppe e a Maria non si pone come ostacolo al suo rapporto col Padre; egli obbedisce ai suoi genitori perché essi esprimono per lui la volontà del Padre celeste.

Anche noi, come Gesù e in Gesù, siamo chiamati a fare, da figli, la volontà del Padre obbedendo anche noi a coloro che esprimono il Padre nella nostra vita, che fanno cioè la parte del padre, può trattarsi dei genitori, dei superiori di una comunità religiosa, del preside di una scuola, del capoufficio, ecc. Non c’è società, gruppo umano, popolo che possa esistere senza un capo. In ogni realtà associativa è indispensabile che si instaurino tra le persone dei rapporti trinitari, per cui ci sia sempre chi fa da padre e chi fa da figlio, in un gioco relazionale che può anche invertirsi con la stessa dinamica, per cui a un certo punto chi faceva da figlio torni a fare da padre e viceversa, ma guai a un gruppo umano dove tutti fanno da padre, è il caos, il padre ha da essere uno solo, diversamente si instaura un conflitto fra coloro che vogliono comandare senza amare. Anche una società o una famiglia senza padre cade ugualmente nel caos perché senza qualcuno che guidi non si va da nessuna parte.

Nella Trinità il Padre ama ed è puro dono, il Figlio riceve il dono e torna a lui nello Spirito che li unisce ed è l’Amore stesso. Dono e accoglienza debbono incontrarsi in ogni vera relazione sia interpersonale, sia di gruppo, dover chi fa da figlio può anche essere un insieme di persone che concordano nel sintonizzarsi su chi, da padre, li guida con amore.

Solo vivendo in questa reciprocità possiamo sperimentare gli effetti dello Spirito consolatore, la gioia dell’unità.

I nostri rapporti saranno mutuati da quelli delle Persone divine per partecipazione di grazia e tutto ci condurrà a vivere l’amore scambievole fino a sentirci una cosa sola in Cristo, figlie e figli nel Figlio, solo in lui fatti Figlio nell’amore reciproco possiamo allora giungere a fare l’esperienza di sentirci nel seno del Padre avvolti dalla sua tenerezza.

Non c’è altra strada per arrivare al Padre se non il Figlio. Nell’Unigenito, fatti lui, anche noi, anche tu, anch’io, per un dono di grazia, possiamo giungere a dire:

“Eterno Padre, Papà mio, Papà nostro, Tenerezza eterna, nel Figlio, ogni figlio sta nel tuo seno, da sempre mi hai visto, mi hai pensato, mi hai generato come figlio unico e prediletto nel Figlio.

Su di me è un’eternità d’amore, sono stato amato dall’eternità e per l’eternità. Sono stato agognato prima di nascere, prima di essere creato per sempre.

Tu hai un solo Figlio, ogni figlio è unico per te nel Figlio. Ed io posso amarti, mi hai generato come risposta d’amore per te, ed io posso amarti con un cuore di carne, che batte per te. Quanto poco ti ho conosciuto e amato, o “Bellezza sempre antica e sempre nuova”, fa che impieghi solo per amarti il tempo che mi rimane da vivere.

Su di me è riposta la tua trepidante compiacenza, la tua tenerezza materna: «Sia fatta la tua volontà» (Mt 6,10) ogni momento, in ogni attimo della mia vita. Amen”.

 

sr. Nunziella

 

 

 

 

 

MAGGIO 2022

Carissime e carissimi tutti,

siamo ancora in pieno periodo pasquale, mi sembra bello perciò dedicare questo Punto luce alla contemplazione di Gesù risorto, fondamento della nostra fede e della nostra speranza per opera sua abbiamo ottenuto la remissione dei peccati. Egli, morto per noi, non ha subito la corruzione e, glorificato dal Padre, è diventato principio di risurrezione e di vita nuova per tutti noi e per l’intero cosmo.

La risurrezione di Gesù è l’inizio della Nuova creazione, nella quale anche la materia si ordinerà allo spirito in perfetta armonia. Cristo risorto è il nostro futuro e quello dell’universo, egli è per sempre il pane dato per noi, l’Amore del Figlio di Dio espresso anche umanamente nel supremo dono di sé sulla croce, la morte datrice di vita, eternizzata nella gloria della risurrezione. L’umanità di Gesù glorificata è resa partecipe della divinità del Verbo di Dio.

La risurrezione coinvolge tutta la storia dell’umanità e dell’universo.

Proviamo, allora, a inoltrarci nella contemplazione di questo grande mistero, facendoci guidare dalla Parola di Dio.

 «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» (1Cor 15,17), così afferma san Paolo ponendo subito dopo, proprio nella certezza della risurrezione, il fondamento della nostra fede in Cristo Gesù.

Le apparizioni del Risorto ai pochi testimoni, che Dio ha scelto per manifestarsi, ci mostrano chiaramente che non siamo davanti a un “risuscitato” che tornerà a morire, come nel caso di Lazzaro, ma davanti a una persona che vive in un’altra dimensione: Gesù risorto penetra a porte chiuse, ma si lascia toccare, non è un fantasma; siede a tavola coi discepoli di Emmaus, ma scompare allo spezzare del pane; nessuno lo riconosce al suo apparire, Maria lo scambia per l’ortolano, solo all’accendersi della luce interiore della fede da lui suscitata, egli si fa riconoscere.

Tutto mostra che non ci troviamo davanti a esperienze mistiche dei vari protagonisti, ma davanti a veri e propri incontri con una persona vivente, che li sorprende e sconvolge.

La risurrezione di Gesù non è un miracolo sia pure straordinario, ma un mistero che coinvolge tutta l’umanità e l’intera creazione.

Se Cristo è risorto anche noi risorgeremo, perché in lui tutti riceveremo la Vita eterna (cfr. 1Cor 15,22).

C’è da chiederci con quale corpo risorgeremo.

A questo proposito san Paolo così spiega nella prima lettera ai Corinzi: «Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito e a ciascun seme il proprio corpo» (1Cor 15,36-38).

La risurrezione di ciascuno di noi implica per Paolo un atto creativo di Dio, che darà a ciascun seme il proprio corpo ormai libero dai condizionamenti terrestri, come egli stesso precisa: «È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità, è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1Cor 15,42-44).

L’identità personale di ciascuno di noi permane e il corpo glorioso, nella sua trasformazione, diventa un corpo spirituale, ma non un semplice spirito privo di materia, questa semmai viene purificata da ogni imperfezione per partecipare alla vita divina. La risurrezione è la divinizzazione di tutta la persona umana integralmente presa.

Solo nel mistero di Gesù risorto è possibile, però, spiegare o balbettare qualcosa di questa sublime realtà.

La risurrezione di Gesù è la sua entrata in una dimensione nuova, non soggetta allo spazio e al tempo.

La morte di Gesù assunta da lui non pone fine alla vita, ma fa morire la morte, diventando varco della risurrezione che non avviene dopo la morte, ma nella morte stessa.

È lo stesso Gesù crocifisso morto in croce che viene glorificato nell’unità anima-corpo, ricevendo un’esistenza pienamente umana, ma diversa da quella terrena. Nella risurrezione di Gesù, Dio inaugura la Nuova creazione, non più dal nulla, ma dalla realtà di Cristo storico. Alla creazione subentra la Nuova creazione a partire da Gesù risorto.

Se consideriamo il corpo umano in se stesso, va a questo punto precisato che esso, nella sua realtà fisiologica e biologica, soggetta alla crescita e alla decomposizione, costituisce per ogni persona la possibilità di esprimere la vita dell’anima e di intavolare relazioni con Dio, con gli altri e con il creato.

La risurrezione ricomporrà per ciascuno di noi il rapporto armonioso corpo-anima e la piena vita relazionale con Dio, con gli altri e col cosmo. Nella risurrezione la materia trasformata non farà più ostacolo allo spirito umano.

Noi viviamo condizionati dallo spazio e dal tempo, il nostro corpo ci mette in rapporto con tutti e con tutto, è centro di relazioni col cosmo, del quale siamo parte, pur tendendo a dominarlo.

Gesù risorto domina l’universo, non è più condizionato dallo spazio e dal tempo, ma contiene in se stesso tutta l’umanità e il cosmo, egli è presente corporalmente ovunque, tutto riempie di sé, tutto contiene in sé, tutto penetra e vivifica.

Il corpo di Gesù, durante la sua esistenza terrena non è mai stato di ostacolo alla vita dello spirito, ma ha partecipato pienamente al dono totale di sé al Padre e a noi tutti fino alla morte.

Il sacrificio della croce liberamente accettato ha trasformato la morte in vita piena, quella del Figlio di Dio. La morte d’amore del Crocifisso è eternizzata dalla risurrezione, assunta da Cristo è “divinizzata” e dona la vita.

Gesù risorto è anche umanamente, nel suo essere corporeo e spirituale, il Figlio, la sua umanità glorificata è resa partecipe della divinità del Verbo.

La risurrezione di Gesù non è, però, un fatto personale, che riguarda solo lui, ma ha un risvolto cosmico, è il compimento della storia della salvezza e del disegno di Dio sull’umanità e sul creato.

Tutta la creazione, come ben spiega san Paolo, attende con impazienza di essere liberata dalla corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cfr. Rom 8,19-22); la creazione attende la Nuova creazione: i cieli nuovi e la terra nuova (cfr. Ap 21,1).

Il Risorto è il fine della storia; egli salendo al Cielo, alla destra del Padre, non si allontana da noi, anzi il Cielo è lui stesso che tutto contiene in sé. Egli è presente all’universo in modo nuovo, egli è presente a noi in modo intimo e profondo.

Risorgendo, Gesù ci porta con sé, egli è con noi sempre, la Parusia non sarà la sua venuta definitiva, quasi il suo ritorno, ma la sua manifestazione, perché Gesù non è assente dal mondo ma presente in modo nuovo, in forza della sua risurrezione.

Gesù risorto è presente all’umanità di tutti i tempi, egli contiene in se stesso ogni tempo e ogni spazio, è il centro della storia; nel suo corpo glorioso gli uomini e le donne di tutti i luoghi e di tutte le epoche possono radunarsi e ritrovarsi in unità.

La comunione di tutti in Cristo è stata pagata da Gesù crocifisso ed è iniziata con Gesù risorto. L’unità è la caratteristica distintiva dell’umanità nuova.

Il Risorto, però, è anche causa della ricapitolazione universale del cosmo, creato da Dio per noi; c’è un legame indissolubile fra noi e la creazione.

La creazione tende alla sua liberazione; Gesù risorto quale fine ultimo a cui il cosmo è ordinato, esercita fin da ora la sua influenza e il suo influsso sul mondo, salendo al Cielo, si è reso vicino a noi e al cosmo in modo nuovo.

Con la risurrezione di Gesù l’umanità e il creato sono già entrati in Dio nel corpo del Risorto, è così iniziato il ritorno della creazione nel seno del Padre, che si compirà nella Parusia.[1]

 

sr. Nunziella

 

 

SLOGAN: Nel Risorto ci muoviamo e siamo, cerchiamo le cose di lassù.

 

[1] Cfr. G. Rossé, La risurrezione di Gesù in Nuova Umanità I (1979) 4/5, pp. 51-72.

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