Carissime e carissimi tutti,

non è possibile camminare sulla via della santità senza operare una scelta di vita rispondente alla propria vocazione e al disegno che Dio ha su ciascuno.

Si impone la necessità di un serio discernimento perché, anche se la santità dipende dall’amore con cui viviamo, è pur vero che solo camminando sulla nostra strada specifica possiamo progredire nell’amore e nell’impegno di vita cristiana.

È, dunque, importante scoprire e vivere la nostra vocazione particolare perché solo in essa troveremo i mezzi per santificarci e realizzare il piano di Dio su di noi.

 

 L’universale chiamata alla santità

Tutti indistintamente, qualunque sia la nostra vocazione, siamo chiamati alla santità. Non si tratta di una meta riservata solo ad alcuni, i fortunati “capitalisti” dello spirito, e preclusa agli altri, alla folla del “proletariato” dello spirito. La santità è per tutti, essa non ci lega a nessuna forma di vita concreta.

Ciò che ci fa santi è “come” viviamo e non “che cosa” facciamo.

La santità non è qualcosa che noi cristiani possiamo acquistare con il nostro impegno e i nostri sforzi personali, è un dono che riceviamo già nel Battesimo, con la nostra partecipazione alla natura divina, in Cristo. Non esistono, per così dire, tante santità, esiste solo la santità di Dio, di cui noi possiamo essere partecipi.

I santi non sono tali perché hanno una loro santità personale, ma perché hanno creduto all’amore di Dio e hanno accolto in loro il Santo: Cristo Gesù, in cui ogni uomo e ogni donna può trovare la sua dignità, la spiegazione della sua vera natura e il senso della sua vocazione.

La nostra piena realizzazione coincide, allora, con una perfetta “conformità” alla persona di Gesù, poiché quelli che Dio «da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rom 8,29). Dire “conformità” non significa imitazione, ma amorosa e completa adesione di tutta la persona fino al punto di poter dire con san Paolo: «… non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

 

La conformità a Cristo nelle diverse vocazioni

La via per conformarsi a Gesù è quella della carità, nella quale consiste la perfezione.

Una mamma di famiglia, una suora, un sacerdote, un deputato… tutti sono chiamati ad essere perfetti nella carità espressa nelle molteplici forme delle loro diverse vocazioni.

Ogni vocazione vissuta in pienezza è via di santità e di conformità a Gesù.

Ricorrendo a un esempio possiamo dire che, nel cammino della santità, succede come quando per fare una statua si porta allo stato incandescente un materiale adatto versandolo in uno stampo, a seconda della forma di quest’ultimo la statua risulta differente. La natura del materiale è la stessa, ma la statua cambia col cambiare dello stampo utilizzato. Analogamente ciò che rende incandescente la nostra vita è l’amore.

Perché la statua venga bene, bisogna che il materiale sia ben liquefatto per aderire allo stampo; così è per noi se ci lasciamo liquefare al calore della carità: perdendo ogni resistenza alla grazia entreremo nello stampo che da tutta l’eternità Dio ha preparato per noi, raggiungendo la santità.

Non importa di quale statua si tratti, è importante solo che riesca bene. Per un artista non conta il soggetto scelto, ma come lo ha realizzato. Alla fine della vita conterà solo l’amore, la nostra vocazione realizzata al fuoco della carità. È chiaro, però, che perché questo avvenga bisogna entrare nello stampo che Dio ha scelto per noi e non in uno voluto da noi, da qui l’importanza di discernere la propria specifica vocazione.

Sposati, consacrati, religiosi, vescovi, sacerdoti, laici, lavoratori, malati… tutti, in qualunque vocazione e condizione, possono camminare sulla via della santità che consiste nella perfetta adesione al momento presente, nel compimento della volontà di Dio secondo i doveri del proprio stato.

 

La scelta di vita

Nel cammino della santità si impone per tutti la necessità di una scelta di vita lucida e consapevole.

Si tratta di discernere attentamente le proprie aspirazioni ed esigenze in relazione al matrimonio o a una vita di donazione a Dio in molteplici forme, a cominciare dalla verginità consacrata.

C’è da dire, però, che forse non esistono due strade per arrivare a Dio, ma una sola, quella dell’Amore, nel senso che nell’unica via, che conduce al Cielo, incontriamo il matrimonio, che richiede la verginità del cuore, e la verginità per il Regno, nel senso che sulla strada della vita, che è una sola per tutti, coloro che si consacrano fanno una specie di salto in lungo: rinunciano, per un dono di grazia, al matrimonio, anticipando la condizione in cui la morte collocherà tutti. I vergini, in un certo senso, anticipano di qua quella condizione in cui, sposati e non, si ritroveranno di là.

Alla fine della vita ciò che ci farà santi sarà solo l’amore. Ciò significa che una mamma che avesse vissuto fino in fondo la sua vita cristiana potrà forse avere amato di più di una consacrata. Resta però vero che l’amore esclusivo per Gesù, la scelta di Dio sommamente amato lega in modo particolare la vita dei vergini a quella di Maria. Sposati o vergini tutti siamo però chiamati a vivere un percorso di verginizzazione, in cui l’uomo e la donna giungano a vivere in profonda unità fino a diventare capaci quasi di “inglobare” in sé le caratteristiche dell’altro sesso, fino ad essere, per esempio, l’uomo dotato di vera tenerezza e la donna di autentica fortezza; in tal senso ogni vergine è, per così dire, uomo-donna, ma così pure lo è chi percorre la via del matrimonio cristianamente vissuto. In fondo è l’amore che tutti ci verginizza, aprendoci il Cielo.

In questa prospettiva la chiamata alla verginità per il Regno, quale scelta esclusiva di Dio, è particolarmente feconda. «Più numerosi sono i figli dell’abbandonata – dice la Scrittura – che i figli della maritata» (Is 54,1). C’è uno stretto rapporto tra la verginità e la maternità spirituale. La Chiesa nel suo mistero è madre, Maria ne è la figura; la Vergine-madre è l’espressione più perfetta della maternità della Chiesa. La stessa maternità fisica si svuota di significato senza la maternità spirituale, che riguarda anche chi si sposa.

Si comprende come la verginità sia una delle espressioni più belle della maternità della Chiesa e di Maria. La maternità della Chiesa è, infatti, mariana e verginale.

La verginità del cuore e la maternità spirituale sono, dunque, importanti per tutti, sposati e non, se vivono con amore la loro vocazione.

A questa luce, chi si trovasse nell’età di fare una scelta di vita se non comprende, intuitivamente, il senso della verginità per il Regno, dovrebbe scegliere senz’altro di incamminarsi per la via del matrimonio, ma se Dio lo chiamasse, dovrebbe mettersi in ascolto delle parole di Gesù: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!» (Mc 4,9).

Dio ci riserva tutte le grazie necessarie per il nostro cammino di santità là dove ci vuole. Nella nostra specifica vocazione, anche se incontreremo sempre le inevitabili prove della vita, dobbiamo però, per così dire, sentirci “comodi”, a nostro agio, al nostro posto.

La verginità è certamente un grande carisma, basta pensare allo stuolo di santi e di sante, che hanno percorso la via della perfetta castità. Anche le varie scelte di donazione a Dio e lo stesso sacerdozio sono cammini di autentica santificazione.

Per scegliere la verginità, però, non basta coglierne la bellezza e sentirci attirati, bisogna che la prospettiva di una vita spesa per Dio e per gli altri, senza una famiglia propria, non ci faccia paura, anzi ci attiri e ci affascini. Se così non fosse, se sentissimo invece il bisogno di camminare con un’altra persona nella strada della vita, formando una famiglia, che sia una piccola Chiesa, allora dovremmo aprirci alla prospettiva di un possibile matrimonio… poi sarà quel che Dio vorrà, perché per sposare bisogna essere in due.

La Chiesa ha conosciuto splendide figure di santi sposati, penso ai genitori di santa Teresina, a santa Monica, a santa Gianna Beretta Molla. Quel che conta è quello che Dio vuole per ciascuno. Per chi si sposa, in ogni caso, Gesù rimane, per così dire, il primo sposo del cuore.

Va tenuto presente, però, che più tempo passa e più diventa difficile la scelta di vita, perché subentrano mille remore umane e psicologiche. Secondo me, sia nel matrimonio, sia nella vita religiosa o di consacrazione a Dio in forme diverse, non c’è niente di più bello che donare a Dio la propria giovinezza. Scegliere da giovani la propria vocazione è, a mio avviso, una grazia aggiunta.

È importante prima di tutto puntare sulla scelta di Dio, più che su quella della strada specifica, questa viene di conseguenza, però quando giunge l’ora di Dio non bisogna farla passare: è il momento di spiccare il volo nella direzione da lui indicata.

Possiamo riflettere, farci anche consigliare, ma poi dobbiamo decidere, diversamente la nostra vita passa irrealizzata, perché è solo nella nostra vocazione specifica che troveremo i mezzi per realizzare il disegno di Dio su di noi.

Abbiamo una sola vita, spesso anche breve, spendiamola bene, incarnando l’amore nella forma di vita che Dio vuole da noi. A noi resta solo di lasciarci liquefare dal fuoco della carità per entrare bene nello stampo che Dio ci ha riservato.

Essere e restare nell’amore è il cammino della santità; solo così il momento della morte fisserà quest’amore nell’eternità.

 

vostra sr. Nunziella

 

Carissime e carissimi tutti,

è importante prendere coscienza della nostra specifica vocazione per realizzarla secondo il piano d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, restando in ascolto della voce della coscienza che interiormente ci guida. Abbiamo vocazioni diverse, ma siamo tutti chiamati a percorrere la stessa via di santità, nonostante i diversi stati di vita e le molteplici situazioni in cui viviamo. Sposati o no, al di là della nostra scelta di vita, in tutte le circostanze, dobbiamo sempre puntare sull’amore, sapendo che non conta quello che facciamo, ma con quanto amore lo compiamo. Dio ci ha creati per amore e ci chiama a vivere in comunione con lui e con gli altri. Ogni vocazione particolare ha senso se è vissuta come strada e come mezzo per amare e servire Dio e il prossimo.

La santità è per tutti, indistintamente.

 

Quando ci amiamo scambievolmente come Gesù ci chiede, egli è presente fra noi se uniti nel suo nome, siamo pronti a dare la vita gli uni per gli altri, camminando insieme sulla via della santità che conduce al Cielo.

Non è un’impresa così ardua, se non confidiamo nelle nostre forze, ma sulla grazia di Dio che ci eleva e ci sostiene. La santità, infatti, non è alla portata delle nostre capacità umane, né frutto del nostro impegno.

Le virtù morali, infatti, non costituiscono la vita cristiana nella sua vera essenza, nel senso che ci possono essere delle persone atee profondamente giuste, con una vita morale autentica.

Si tratta, allora, di comprendere il significato di quell’affermazione della Scrittura, che ci invita alla santità: «Siate santi perché io sono santo» (Lv 11,44), ciò significa prima di tutto che non possiamo avere una santità “nostra”, solo Dio è santo.

Probabilmente ci possono essere dei peccatori che sono molto più avanti nel cammino della santità delle persone che nutrono il sentimento del “proprio” valore morale e spirituale; la coscienza della propria virtù allontana da Dio a differenza della consapevolezza interiore del proprio peccato e dei propri limiti.

L’esperienza del proprio fallimento, il fatto di sentire che non siamo santi, ma difettosi e pieni di limiti a volte anche dopo una lunga vita, l’impressione di non aver concluso quasi niente nella vita, questa insoddisfazione potrebbe essere utilissima per un percorso di vera santità, che non dobbiamo mai far dipendere dalla nostra virtù.

Siamo nati per Dio, veniamo da Dio e a Dio torniamo; la santità è la vita di Dio in noi, sul “vuoto” di noi, fatti pura accoglienza. Dobbiamo, allora, dare il giusto posto alle virtù teologali e non a quelle morali. Se ci apriamo alla fede, alla speranza e alla carità, di conseguenza coltiveremo anche la giustizia, la bontà, la lealtà…, ma la molla della nostra vita sarà la fede, il desiderio di Dio pieno di fiducia che si manifesta nella speranza che ci fa camminare, distaccandoci da qualunque attaccamento per concentrarci solo sull’Amore che è Dio; la carità diventerà allora il vero respiro della nostra anima.

Se, invece, mille desideri e affetti rimangono in noi, occupando il nostro mondo interiore, non possiamo entrare in comunione con Dio; non possiamo, cioè, assommare qualcosa a Dio; dobbiamo piuttosto amare tutto in Dio.

Diversamente avremo il cuore diviso tra Dio e tanti nostri idoli o idoletti, che ci tengono prigionieri e ci impediscono di spiccare il volo verso l’Alto.

Tutto può diventare un idolo: la famiglia, il lavoro, la nostra personale santità, il nostro apostolato, il nostro concetto di Chiesa, di Stato, ecc.

Prima o poi nella vita giunge però spesso il momento salutare della crisi: crollano le nostre sicurezze, a cui ci aggrappavamo: è un’esperienza positiva se diffidando finalmente di noi stessi, consapevoli dei nostri limiti e della nostra piccolezza, prendiamo coscienza della nostra assoluta dipendenza da Dio.

In fondo l’azione della grazia in noi può convertirci in qualunque momento, se ci apriamo all’azione dello Spirito. Basta un attimo per raggiungere la santità, se accogliamo Dio in noi e gli permettiamo di amare in noi e attraverso di noi. In qualunque modo avessimo vissuto la vita fino a quell’istante non ha nessuna importanza per poco che ci apriamo all’amore di Dio, certi che niente può impedire a Dio di essere Dio, niente cioè può impedire all’Amore di essere l’Amore. Dio, nella gratuità del suo amore, si dona a noi e se lo accogliamo con viva fede diventa la nostra vita, la nostra vera santità, non ci resta, allora, che godere dell’Amore che è Dio, lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5).

Il nostro infinito nulla può incontrarsi con l’infinito tutto, grazie al mistero dell’Incarnazione, che ha reso possibile il nostro rapporto con Dio, rendendoci partecipi della natura divina.

Il giorno in cui sperimentiamo la nostra impossibilità di raggiungere la santità con le nostre forze, si apre per noi, se lo vogliamo, la strada dell’umiltà e possiamo finalmente dire con sincerità: “O Dio, vieni a salvarmi” (dalla Liturgia delle ore).

Solo Gesù ha reso possibile il nostro rapporto con Dio, siamo figli nel Figlio; tutti indistintamente siamo chiamati a vivere la nostra vocazione cristiana che ha dei connotati mariani: si tratta, infatti, di permettere a Cristo Signore di continuare la sua incarnazione in ciascuno di noi. Egli si è incarnato nel seno della Vergine, ancora oggi egli rende possibile il nostro rapporto col Padre, se lo accogliamo in noi, lasciandoci in qualche modo assumere da lui in comunione con Maria.

Anche se avessimo commesso i peccati più gravi, dobbiamo conservare la ferma fiducia nell’amore di Dio che ci salva e ci redime, anzi anche nei riguardi delle persone con cui viviamo e che ci vengono affidate dobbiamo conservare la stessa fiducia nonostante eventuali loro limiti e peccati, Dio è più grande del nostro cuore. Personalmente ho sperimentato in me una grazia di partecipazione alla maternità di Maria che fin dalla giovinezza mi ha fatto credere in un disegno di Dio che mi lega a coloro che Dio mi dona per vivere insieme un’avventura d’amore che ha per meta il Cielo nonostante i nostri eventuali limiti e peccati. Io credo in coloro che Dio mi mette accanto per camminare insieme, perché sono certa che la santità a cui siamo chiamati non è la nostra perfezione, impresa impossibile, ma Gesù in mezzo a noi, il Santo fra noi, se sappiamo amarci reciprocamente e perdonarci dopo ogni caduta.

La santità è per noi raggiungibile se è la santità di Gesù che ci unisce in un solo corpo. Non si tratta di scalare coi nostri sforzi la montagna della perfezione, ma di abbandonarci a Dio, facendoci guidare da Maria, restando vigili e in ascolto delle mozioni dello Spirito, nei vari momenti della nostra vita.

Abbiamo una sola vita, spesso anche breve, non sprechiamola, facciamoci santi insieme custodendo la presenza di Gesù fra noi, fonte di luce e di gioia.

Dio ci vuole santi: «Siate santi, perché io sono santo» (Lv 11,44). La nostra santità non si assomma a quella di Dio.

Non saremo mai santi, se non lo siamo fin da adesso accogliendo in noi l’Amore, che è Dio, il Santo fra noi vivo e operante nella nostra unità.

Il cammino della vita è fatto di gioie e di dolori, tutto concorre al bene se amiamo Dio (cfr. Rm 8,28).

Non ci può essere poi cammino di santità, senza gioia, spesso se la nostra vita è triste è perché manca l’apertura allo Spirito Santo, che è fonte di gioia, né il nostro amore reciproco è autentico, se è sterile, se non interpella gli altri, se non attira i cuori.

Non trascorriamo nemmeno un istante senza amore; amiamo sempre tutti, senza esclusione di persone, amiamo senza partire da noi, ma dagli altri, sapendo purificare anche la nostra maniera umana e personale di amare, spesso inadeguata alle situazioni e alle esigenze degli altri.

Se amiamo, tutto diventa possibile e Gesù fra noi, il Santo, ci santifica insieme.

 

vostra sr. Nunziella

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