Quando incontriamo una persona mai vista prima, dovremmo accoglierla come se la conoscessimo da sempre, perché sappiamo di lei la cosa più importante: Cristo l'ha unita a sé in modo tale che amarla significa amare lui stesso. Gesù è giunto, infatti, a dirci che qualunque cosa avremmo fatto a uno solo dei suoi fratelli o delle sue sorelle più piccole, l'avremmo fatta a lui (cfr. Mt 25,40).
Egli, dunque, ha voluto 'identificarsi' con ciascuno di noi. Parlando del giudizio finale, ci fa capire chiaramente che, alla fine della nostra vita, saremo giudicati solo su quanto avremo amato concretamente lui, incontrando e amando gli altri. Egli ci spiega che ogni gesto di attenzione verso l'affamato, l'assetato, l'ignudo ecc. è un atto d'amore fatto a lui; analogamente ciò che ci rifiutiamo di fare al nostro prossimo, lo neghiamo a lui stesso.
E' ovvio, poi, che altro è amare un affamato, altro amare un assetato: non possiamo dare dell'acqua a chi ha fame o del pane a chi ha sete; questo ci fa capire che dobbiamo fare attenzione ai veri bisogni degli altri.
Ogni persona è unica al mondo, non ce ne sono due uguali, non è possibile amare tutti nello stesso modo. L'amore va espresso, in maniera diversa, a seconda della personalità, del temperamento e delle necessità del fratello o della sorella, con cui veniamo a contatto. Diverse sono le esigenze spirituali o materiali di ognuno, come differenti o anche contrastanti sono i bisogni dei vari popoli della terra: basta pensare al fossato che divide i paesi soggetti alla fame e alla povertà, da quelli della tecnica e del benessere.
Per costruire un mondo più giusto, non c'è altra strada che quella del Vangelo. Una società più equa comincia da noi: non può farsi senza iniziare a stabilire rapporti di autentica carità nell'ambiente in cui viviamo. Amare il prossimo è amare Cristo; ma l'amore è tale se è concreto e non meramente spirituale: esso ci domanda di mettere in comune ciò che siamo e ciò che abbiamo.