In un mondo che sembra voler cancellare tutti i segni dell'assoluto, accanto alla figura del sacerdote, permane, al di là di ogni crisi, la presenza dei consacrati: religiose e religiosi.
Non è raro il caso in cui per le strade delle nostre città, in un via vai frenetico di macchine e di gente, vediamo passare questi uomini e queste donne, nelle loro vesti scure e a volte antiquate, quasi coraggiosi resti di un'epoca passata: testimonianza di un mondo diverso o fuga dalla vita per paura di affrontarla?
Eppure la tristezza e la noia dipinta sul volto di molti altri dei passanti ci pone una domanda inquietante: "Qual è la verità? Qual è il senso della vita? Cosa ha portato questi uomini e queste donne, che noi chiamiamo suore, frati e padri a lasciare tutto quello per cui gli altri si battono e a cui aspirano?".
Alcuni erano ricchi, stavano bene e si sono fatti poveri, conducendo una vita di una povertà sconcertante. Molti avevano la possibilità di una brillante carriera davanti, avrebbero potuto sposare... Cosa li ha spinti a fare una scelta diversa?
Ma chi sono i religiosi e le religiose?
Sono coloro che operano già da questa vita, alcuni fin dalla giovinezza, quello che prima o poi attende tutti. Presto o tardi, la morte arriva per tutti, staccandoci ai nostri affetti più cari, ai nostri beni, a tutto ciò che passa, davanti a quel momento culminante la vita acquista altre proporzioni.
Povertà come distacco dai beni di questa terra, castità come distacco dagli affetti e obbedienza come distacco dalla nostra volontà è ciò che la morte opera in tutti, ma se la morte operasse questo sarebbe realtà puramente negativa; per il credente "la vita non è tolta, ma trasformata"1, così per chi crede la perdita dei suoi beni materiali è per possedere i beni celesti che non passano, l'essere sottratto ai suoi affetti è solo per immergersi nella grande famiglia del cielo dove tutti ci rivedremo, la rinunzia alla propria volontà è per realizzare la volontà di Dio, che è sempre operatrice di un maggior bene: la Vita che non muore.
"Chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv 11,25). Ecco il destino universale di chi crede in Gesù Cristo.
In mezzo ad una umanità che sentono di dover amare di un amore particolare, i religiosi e le religiose si pongono come segni d'immortalità, anticipano fin da adesso quella pienezza di vita dal forte sapore d'Amore che gusteremo nel banchetto del Regno dove saremo tutti vergini; per questo col loro solo esistere dicono al mondo: "Dio c'è, la vita non finisce qui, c'è un destino che tutti ci aspetta".
I religiosi e le religiose indicano quei valori, a cui tutti in fondo aspirano, sono più che mai una speciale presenza di Gesù in mezzo all'umanità, contribuiscono decisamente ad instaurare il regno di Dio quaggiù.
"Il mio regno non è di questo mondo" (Gv 18,36). È regno di amore, di pace, è il sogno che ogni persona, anche se atea, reca in sé, è, in una parola, la Chiesa, immensa famiglia di Gesù Cristo, luogo di comunione e sacramento di salvezza.
1 Prefazio dei defunti, I.