Questa lettera viene approfondita negli incontri promossi dall'Istituto delle Suore del Bell'Amore e relativi Cenacoli, come anche altrove

Meditazione proposta dalla Madre come Punto luce del mese di aprile 2014. 

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Palermo, 5 aprile 2014 

Carissimi/e,

in quest'anno che segna il ventennio di vita del nostro giovane Istituto, mi sembra bello e significativo proporvi, insieme col testo del Punto luce, la visione di un DVD relativo alla nostra storia: si tratta della Salita al monte Pellegrino da vedere insieme per fare memoria degli avvenimenti che ci hanno coinvolto alle nostre origini in modo piuttosto sorprendente. Attraverso la storia della fondazione passa sempre una grazia per chiunque l'ascolta con fede e amore.

Quanto al Punto luce, dopo aver rimesso a fuoco l'importanza del silenzio interiore, da cui dobbiamo sempre partire per vivere raccolte e aperte a Dio, vorrei in questi mesi approfondire con voi i temi relativi al primo ciclo della via dell'Amore, cominciando dalla Scelta dell'Amore a cui bisogna sempre rifarsi in ogni momento della nostra vita, senza mai darla né per scontata, né per sottintesa, sarà questo il nostro modo di prepararci alla Pasqua.

 

Restiamo uniti in Gesù, morto e risorto

vostra sr. Nunziella Scopelliti 

La scelta dell'Amore 

Apriamoci all'azione dello Spirito 

Se consideriamo la nostra condizione di creature umane, è facile capire che siamo gente incapace di salvarsi da sola e questo senza bisogno di considerare il male che c'è nel mondo e in noi stessi, ma solo guardando i nostri tentativi di fare qualcosa di buono. Quante volte, pur non volendolo, finiamo col far soffrire proprio coloro a cui vogliamo bene. Il nostro amore umano non tiene, ha continue incrinature. C'è da chiederci, allora, se esista un altro amore, diverso da quello nostro, più grande, più solido, che tenga in ogni circostanza e che possa, per così dire, salvarci da tutte le situazioni e persino dalla morte.

Questo amore esiste ed è una Persona diversa da noi, proprio diversa, ma presente in noi, se l'accogliamo, aprendoci alla sua azione.

È l'Amore, è lo Spirito Santo: la Persona divina spesso meno conosciuta e più dimenticata; spero che il futuro della Chiesa le riservi più attenzione.

La ragione per cui noi non riusciamo a stabilire tra noi un rapporto d'amore è perché quasi mai amiamo con l'Amore con la A maiuscola, cioè con e nello Spirito Santo. Quasi sempre ci limitiamo ad amare solo coi nostri sforzi umani e con la nostra buona volontà, senza aprirci alla multiforme bellezza dello Spirito.

Personalmente ho sperimentato tante volte un vero capovolgimento di prospettiva nel momento in cui ho compreso che l'Amore non è il mio amore, ma una Persona distinta da me, che non la pensa come me, non sente e non reagisce come me. Può capitare, infatti, che lo Spirito mi spinga ad essere forte con gli altri, quando io vorrei essere gentile e condiscendente per sola debolezza; altre volte, invece, può succedere che mi inviti, interiormente, alla mansuetudine, mitigando la mia severità.

Lo Spirito è l'Amore, che unisce il Padre e il Figlio in un'ineffabile intimità; nessuna persona si è mai lasciata condurre dalla sua azione con la stessa docilità di Maria. Non sempre abbiamo un rapporto esplicito e profondo con lo Spirito Santo; instaurarlo significherebbe iniziare una nuova avventura: cominciare ad amare con l'Amore e non col nostro amore. Maria ci conduca in questo cammino e ci insegni come fare per metterci all'ascolto dello Spirito. 

 

Il Bell'Amore 

L'Amore, di cui vorrei parlarvi, non è un atteggiamento, un sentimento, una capacità umana, neanche un impegno, è Dio stesso: il Bell'Amore.

La storia delle religioni indica la ricerca di Dio da parte dell'umanità; il Cristianesimo è, invece, la rivelazione di Dio: Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, ci svela l'ineffabile mistero della Trinità e ce ne partecipa la vita.

Inviato dal Padre, si incarna nel seno di una vergine: egli viene a comunicarci il suo Spirito, che è la sua stessa comunione col Padre in seno alla Trinità.

«Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio» (1Gv 4,10).

L'iniziativa viene da Dio, che, per la prima volta, al momento dell'Annunciazione dell'angelo a Maria, si rivela come Uno e Trino.

Il Figlio di Dio, con l'Incarnazione, ci fa partecipi della comunione trinitaria…: il Bell'Amore, l'Amore per eccellenza, in cui siamo entrati per Cristo Signore; in esso noi tutti ci muoviamo e siamo, in esso siamo già salvati, consanguinei e familiari di Dio, una cosa sola tra noi in Cristo, membra gli uni degli altri. È la travolgente bellezza della comunione trinitaria: il Padre con l'immensa moltitudine dei suoi figli e figlie, innestati con Maria nel Figlio, per opera dello Spirito. È la beata speranza della creazione finalmente liberata e ricapitolata in Cristo. 

 

L'Amore solo è 

L'Amore esiste ed è Dio stesso (cfr. 1Gv 4,8; 4,16), non una nostra umana conquista, non una nostra prerogativa. È il Bell'Amore onnicomprensivo di tutta la realtà: tutto è in esso e nulla esiste fuori di esso. Ciò significa che «l'Amore da solo è più dell'amore e qualche cosa, l'Amore solo è, tutto il resto non è se non è in esso e per esso»[1]. Se Dio è Amore, ciò significa che esistere per Dio è lo stesso che amare, ciò significa anche che ogni creatura esiste se trae da Dio la sua vita. Fuori di questa realtà è il nulla, il non essere.

Il male non è l'affermazione di una realtà positiva, è piuttosto un'assenza, un non essere. Non si tratta per noi di combattere contro il male, che vuole inghiottire l'umanità, disintegrandola nel turbine delle passioni e dell'odio, ma di liberare l'Amore, per permettergli di rinnovare persone e cose, rivelando la bellezza della nuova creazione.

Tutto può crollare: la guerra può infierire sull'umanità, il divorzio distruggere le famiglie, la droga uccidere tanti giovani, la solitudine e l'eutanasia intristire il tramonto degli anziani, la violenza stroncare ogni tentativo di promozione sociale...; tutto, anche le realtà più belle possono rivelare la loro caducità e finitezza, ma Dio solo, che è l'Amore, non crolla mai, è sempre presente in ogni circostanza, in ogni situazione, anche nelle più grandi atrocità che l'umanità può produrre, è là per salvare la creazione dal suo non essere amore e condurla alla pienezza. 

 

La fede nell'Amore 

L'amore come virtù può anche affermare il suo primato rispetto a qualunque altro valore umano, ma l'Amore sostanziale, che è Dio, è tutto e noi non possiamo conoscerlo, se non si rivela a noi, nella misura della nostra fede e della nostra libera adesione a lui.

C'è nella Scrittura un'affermazione sorprendente: «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21). Non è detto: «Colui al quale mi sarò manifestato, costui mi amerà», ma «mi manifesterò a chi mi ama». Ci troviamo davanti a un'altra logica: è la natura dell'atto di fede; l'amore fa vedere, ma si tratta dell'amore accolto e creduto, più che compreso. Non per nulla, Giovanni dirà: «Noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore» (1Gv 4,16). Credere all'amore è sempre possibile, anche quando ci si scopre incapaci di amare. Giovanni non dice: «Noi abbiamo amato», ma: «Abbiamo creduto all'amore». Ciò significa che l'Amore è altro da noi: è Dio stesso. 

 

L'Amore è una Persona 

Non è facile per noi comprendere che l'Amore è una Persona: lo Spirito Santo.

Dio è Amore perché è Uno e Trino, comunione di Persone: il Padre ama il Figlio; il Figlio ama il Padre; l'abbraccio sostanziale del Padre e del Figlio, l'Amore increato, personale è lo Spirito, la terza Persona. La Trinità ha tutto in sé, non ha bisogno di niente, è pienezza, assoluta armonia.

Gesù, incarnandosi e morendo in croce, ci ha partecipato tale comunione nello Spirito, che è la vita trinitaria.

Lo Spirito Santo è l'Amore stesso, per accoglierlo in noi dobbiamo rinunziare al nostro personale modo di amare, per imparare a lasciarci guidare dalla sua Persona, momento per momento; ameremo allora con l'Amore e non col nostro amore[2], ciò significa che anche la nostra capacità umana d'amare sarà mossa dall'azione dello Spirito Santo. 

 

Slogan:            Amiamo con l'Amore e non col nostro amore


[1]Costituzioni e Direttorio dell'Istituto religioso Suore del Bell'Amore, Presentazione, Palermo 2008, pp. 5-6.
[2]Cfr. Costituzioni…, o. c., p. 6.

Questa meditazione della Madre viene approfondita per tutto il mese, negli incontri promossi dall'Istituto delle Suore del Bell'Amore e relativi Cenacoli, come anche altrove.

Meditazione proposta dalla Madre come Punto luce per i mesi di gennaio e febbraio 2014.

 

Il silenzio interiore

Tacere dentro 

Non è possibile costruire una casa su un'altra casa, la stessa cosa succede per la nostra vita: non è possibile vivere un'esperienza nuova di Dio senza fare prima un vero silenzio interiore dentro di noi, senza, per così dire, demolire tutto ciò che non è Dio in noi.

Come fare?

In tutta la tradizione della Chiesa si è sempre valorizzato il silenzio. Perché? Di che genere di silenzio si tratta?

Immaginate una persona che, per esempio, tacitamente mediti un omicidio, non è certo questo il silenzio di cui parla il Cristianesimo. Allora di che silenzio si tratta?

Non consiste nello stare zitti, ma nel tacere dentro.

 

Poveri in spirito 

Esiste nel Vangelo una beatitudine importantissima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Gesù, in questa beatitudine del discorso della montagna, non parla dei poveri sociali, ma dei poveri in spirito.

Essere poveri in spirito non è per niente facile.

Il povero attaccato a quel poco che ha, è molto più ricco del ricco. Quindi non è tanto questione di avere di più o di meno: ognuno deve avere tanto quanto Dio vuole, a seconda della sua vocazione; il difficile è essere poveri in spirito, è solo di questi ultimi - e non di quelli che non hanno niente - il regno dei cieli!

I poveri in spirito sono coloro, che si sono svuotati di ogni preoccupazione, di ogni pensiero buono o cattivo, che ingombri la loro interiorità.

Davanti a Dio può fare ostacolo il positivo, come il negativo. A questo proposito, va ricordato che il nulla resiste a Dio meno di qualche cosa[1]. Qualche cosa può anche essere un'esperienza bella, positiva, il bene già fatto, la propria spiritualità...

Allora che cosa significa questo nulla che ha il potere di attirare Dio e di fare scoprire Dio?

è il silenzio interiore, il non ricorrere ai propri pensieri, anche santi; è la povertà di spirito.

Spesso fa molto più resistenza a Dio un pensiero buono, che uno cattivo, perché se siamo irreprensibili, perfetti, l'altro non può darci niente. Gesù dice: «Io non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17b). Se siamo già buoni, virtuosi, Gesù non ha niente da darci.

Ecco il primo paradosso: per riuscire a capire qualche cosa di Dio, è necessario non voler comprendere con la sola ragione; per riuscire ad avere il tutto, bisogna non avere nulla; per riuscire a intuire la luce, bisogna chiudere gli occhi della nostra intelligenza[2].

 

Puri di cuore 

C'è un'altra beatitudine, che può farci approfondire il senso del silenzio interiore: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Non è detto: «Vedranno Dio perché muoiono», ciò significa che sarà loro dato di vederlo fin da questa terra. Allora, se diciamo che non sentiamo Dio, che non lo capiamo, il motivo è uno solo: non siamo puri di cuore; se lo fossimo, dovremmo vedere Dio.

Siamo invitati a fare un'opera di demolizione di tutto ciò che non è puro, facendo silenzio dentro di noi. Niente preoccupazioni, niente pensieri, niente desideri, niente passato...! Non interessa quello che abbiamo già fatto. Se fino a ieri siamo stati santi, oggi potremmo fare una sciocchezza madornale, che ci fa precipitare in un baratro. Se fino a ieri siamo stati gli ultimi della terra, oggi, convertendoci, potremmo raggiungere altezze spirituali, che forse un'altra persona, che per tanti anni ha vissuto per Dio, non toccherà mai. Il passato non conta se non a partire dal presente; conta questo momento di adesso.

 

Il silenzio dell'intelligenza, del cuore, della volontà 

Possiamo vivere e capire quello che Dio vuole da noi adesso, solo se ci svuotiamo di tutto il resto.

Quindi, niente pensieri! Ecco il silenzio dell'intelligenza!

Niente affetti disordinati! Ecco il silenzio del cuore!

Non c'è bisogno di fare chissà quali atti impuri per non essere puri di cuore, per non riuscire a vedere Dio: basta che il cuore sia occupato da una persona nello stesso momento in cui, per esempio, stiamo incontrandone un'altra.

Niente progetti puramente personali! Ecco il silenzio della volontà. Dobbiamo volere quello che Dio vuole.

Francesco d'Assisi parla di altissima povertà[3] di mente, altissima povertà di cuore, altissima povertà di volontà. Ecco la condizione indispensabile per essere di Dio.

In un certo senso, si può dire che Dio raggiunge il non essere e non l'essere; Dio si avvicina a chi non è e non a chi è.

 

Uno spazio per Dio 

È importante fare spazio a Dio, facendo il vuoto dentro di noi. Anche voi che mi leggete forse state accogliendo fino in fondo quanto vi scrivo, senza pensare ad altro. Se così fosse, state facendo silenzio dentro di voi. Se ce la faceste a restare tutta la vita come in questo momento, la vostra esperienza di Dio si aprirebbe a una perenne novità.

Considerate ogni momento presente come un luogo materiale, come un quadratino, nel quale ci sia spazio per una sola persona, in esso o mettete voi, il vostro io, o mettete Dio, insieme voi e Dio non entrate, perché il quadratino è troppo piccolo.

Decidere di rinnegare il proprio io per far spazio a Dio, questo è il silenzio interiore.

Il quadratino della morte sarà un attimo: il più importante, preparato dagli altri.

Vi è mai capitato di vedere un falegname riverniciare un mobile? In quest'ultimo spesso ci sono delle parti rovinate e delle altre in cui la vernice è rimasta in buone condizioni... Il falegname, con la carta vetrata, scartavetra tutto, perché diversamente la nuova mano di vernice verrebbe a chiazze.

Immaginiamo la nostra anima come le pareti di un mobile. Quante volte ci capita di avere l'impressione che Gesù, come un falegname, scartavetri pure quelle quattro cose buone che abbiamo fatto nella vita! Se vogliamo il Dio di oggi, se desideriamo aprirci ad una nuova dimensione del suo Amore, dobbiamo avere il coraggio di lasciarci azzerare, senza tentare di salvare qualcosa. Dio non fa opera di restauro, non fa il ritocco sul mobile, egli fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5), creandole dal nulla. Allora, o accettiamo ogni giorno di lasciarci rifare da zero, o ci preoccupiamo di custodire quelle parti del mobile, che ancora restano in buone condizioni, conservando il nostro io.

La vita con Dio consiste nello scartavetrare ogni giorno la parete della nostra anima, per rinnovare il colore: in tal modo diventiamo delle persone estremamente interessanti per gli altri, perché, per così dire, chi ci ha visti ieri colorati di rosso, ci incontra oggi colorati di verde, domani di azzurro, non ci si può annoiare con noi, perché Dio ci rinnova ogni momento.

 

Un silenzio amante 

La vita diventa una novità perenne. Impariamo a fare la volontà di Dio, rinnegando la nostra. Il nostro cuore purificato dai suoi affetti si dilata sulle dimensioni di quello di Cristo. I nostri pensieri particolari o egoistici si dileguano, mentre il nostro spirito percepisce la bellezza e l'altezza del pensiero di Dio. Allora soltanto possiamo arrivare a dire con san Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Non è difficile per Cristo vivere in noi, difficile è per noi rinnegare noi stessi, perché egli possa assumerci.

Non dobbiamo dare suggerimenti a Dio, dobbiamo piuttosto saperci intelligentemente mettere da parte, per fargli spazio in noi.

In fondo questo silenzio amante è la vera vita. Tutto il resto, che a volte ci occupa e ci fa ricchi di noi stessi, è destinato inesorabilmente a crollare... Tutto ciò, che ci preoccupa, è destinato a passare: persone, situazioni, circostanze…

 

L'accoglienza dell'Amore 

Che cosa non passa della nostra vita? Che cosa resta per sempre? Solo quanto abbiamo vissuto nell'Amore.

Per poter fare cose che non passano, è necessario che Dio le faccia in noi, solo lui può darci la capacità di amare davvero. Noi possiamo anche affezionarci a qualcuno, ma poi al minimo sgarbo che riceviamo ci sentiamo delusi, retrocediamo. Solo se nel quadratino, di cui abbiamo parlato, mettiamo Dio e non il nostro io, diventiamo capaci di scegliere l'Amore, che non passa... Solo se la parete della nostra anima è tutta scartavetrata, tabula rasa, Dio può scrivervi ciò che vuole. Solo se il nostro cuore è puro, vediamo Dio... Solo se siamo poveri in spirito, siamo già nel regno dei cieli fin da questa terra... Se accettiamo ogni momento di offrire a Dio il passato, in tutto ciò che ha di positivo e di negativo, in questo santo oblio, acquistiamo la capacità di scegliere il Dio dell'oggi, sempre nuovo...

Per camminare nella via dell'Amore spesso non solo fa ostacolo il ricordo dei nostri sbagli e fallimenti, ma anche quello di quei momenti di Dio, belli e significativi, che ci hanno colmati di gioia: insensibilmente finiamo col diventare ricchi delle cose di Dio e non di Dio, così facendo, amiamo le gioie, le consolazioni di Dio e non il Dio delle consolazioni.

Allora: silenzio completo, povertà, purezza! Ognuno scelga la parola, che più si adatta alla sua sensibilità, per disporsi a fare posto a Dio dentro di sé, perché Dio va solo dove trova spazio.

Lo Spirito Santo è molto delicato: se, per così dire, vogliamo precederlo, ci cede il passo... Se, invece, vogliamo seguire le sue indicazioni, andiamogli dietro docilmente. L'Amore esige la libertà dell'accoglienza.

Quello che conta è riuscire a fare questo silenzio interiore, come Maria, in lei, quasi vissuti da lei, che è l'ombra, su cui la luce di Dio risplende, il silenzio su cui la Parola risuona.

Vivere questa dimensione di accoglienza amante è imbattersi in Maria, fare di lei la nostra via. Nessuno ha saputo come lei vivere il silenzio completo di sé, per fare spazio alla grande rivelazione di Dio-Trinità.


[1] Cfr. San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, libro 1, cap. 6,4.
[2] Cfr. San Giovanni della Croce, o. c., libro 1, cap. 13,11.
[3]Regola Bollata, Fonti Francescane, n. 90.

 

Questa meditazione della Madre viene approfondita per tutto il mese, negli incontri promossi dall'Istituto delle Suore del Bell'Amore e relativi Cenacoli, come anche altrove.

Meditazione proposta dalla Madre come Punto luce del mese di dicembre 2013.

 

 Perché mi hai dato un corpo ho detto io vengo (cfr. Eb 10,5-7)

Carissime, carissimi tutti,

voglio tornare con voi sul tema della nostra corporeità vista alla luce del mistero dell'incarnazione.

È importantissimo imparare ad amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze, per far questo dobbiamo prendere sempre più coscienza di ciò che siamo e di come Dio ci ha fatti, ci vede e ci conduce.

 

Non sempre la contemplazione del mistero dell'incarnazione ci porta a cogliere le sue conseguenze nella nostra vita quotidiana, ancor meno quando si tratta di far luce sulla nostra corporeità, avvertita spesso più come limite che come dono. Solo in Maria e nell'umanità del Verbo incarnato il nostro corpo può rivelarsi nel suo significato profondo di altare e vittima del sacrificio, in Cristo Gesù.

Dopo il peccato originale la vergogna ci ha impedito di scorgere la bellezza originaria del corpo umano uscito dalle mani di Dio, ma se, aiutati dalla grazia, fissassimo lo sguardo sull'Immacolata, forse riscopriremmo in lei tale bellezza: Maria è, infatti, come qualunque altra donna. La descrizione della sposa del Cantico dei cantici può, adeguatamente, dire qualcosa di lei. La Mamma nostra è stata coinvolta interamente, corpo e anima, nel suo rapporto con Gesù; si distanzia immensamente dagli altri santi anche a motivo del suo corpo immacolato e assunto in cielo; tutta la sua sessualità è interessata alla sua maternità divina che sboccia dalla sua verginità nel modo più umano e più concreto.

La bellezza della sposa del Cantico richiama l'analoga descrizione dello sposo. Nell'unica persona del Verbo incarnato tutto è divino e umano, la sua umanità è la nostra, l'ha presa da noi in Maria.

La nostra finitezza non è un ostacolo, perché si spalanca sull'Infinito. Nel mistero dell'incarnazione solo il male è un impedimento; ma dov'è il peccato? Non è in noi, né nell'anima, né nel corpo, dal momento che Gesù ci ha redenti, ma soltanto nella deliberata ribellione allo stupendo, grandioso piano di Dio di incorporarci tutti in Cristo per Maria, per essere un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Cristo.

«(Signore) tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato» (Sap 11,24).

A volte si rischia di mutilare il Cristianesimo relegandolo in una sorta di angelismo destinato a salvare l'anima, nonostante il corpo, visto come realtà troppo pesante per accedere ai livelli della mistica, eppure anch'esso è destinato alla gloria: "Questa mia carne vedrà il Salvatore" (cfr. Sal 16,10; 2Mac 7,9; Gb 19,25).

Gesù e Maria hanno avuto un corpo fatto come il nostro. Se Dio ci ha creati in un certo modo, c'è da dire che tutto ciò che esce dalle sue mani è degno di lui in ogni particolare, niente escluso. Forse dobbiamo iniziare una nuova educazione dell'uomo e della donna, imparando a vivere con lucida consapevolezza il mistero della nostra corporeità vista in Cristo e in Maria. Tutto ciò che riguarda il nostro corpo può essere vissuto come liturgia di lode e offerta piena al Signore della vita, nell'accettazione di sé e di ciò che siamo piena e consapevole.

Ogni nostra azione domanda di essere assunta dal Verbo incarnato, deve, in qualche modo, morire in lui per risorgere come atto immacolato.

Se Dio ha assunto la nostra umanità, ogni nostro gesto può diventare gesto di Dio. Tutto il creato e il corpo, capolavoro della creazione, si svelano nella loro perfezione e capiamo che dobbiamo, per così dire, assumere tutto, essere tutto. Non basta amare tutti, bisogna anche amare il creato: i fiori, gli alberi, le strade, le cose… e il nostro corpo.

Gesù deve immacolatizzarci nella totalità del nostro essere corporeo.

Migliaia di peccati di concupiscenza gravano sull'umanità, eppure basta Cristo, con la Vergine Madre, per redimere tutto il male del mondo; la nostra immacolatezza, ancora in fieri, non è un'aggiunta alla loro, ma la stessa unica "concezione immacolata"[1].

I nostri corpi verginizzati dall'amore sono le membra vive del Risorto: un solo mistero, un'unica abissale armonia.

Il Verbo incarnato ha assunto la carne in tutta la sua concretezza.

Ogni giorno grava sull'umanità il peso della sofferenza, della malattia e della morte: è l'immolazione della croce che continua.

Ogni giorno nuove creature umane vengono generate nel dolore del parto per diventare col Battesimo, figli di Dio, in Cristo Gesù: in ogni madre è, in qualche modo, presente la Madre: Maria.

In Gesù e Maria riscopriamo la dignità della nostra persona: non c'è azione umana che non sia ad un tempo spirituale e corporea: ogni dualismo è superato.

Nel Crocifisso ogni tribolazione della carne (cfr 1Cor 7,28) è assunta e trasformata in grido gioioso di vita infinita.

Alla scuola di Maria, fatti piccoli per grazia, possiamo vivere, per così dire, l'adolescenza del corpo immacolato, prendendo coscienza della nostra persona, di come siamo fatti nella luce del mistero dell'incarnazione.

Gesù vuole entrare in noi, non solo nello spirito, nella mente, nella volontà, ma anche nel cuore, nella psiche, fino alle radici più profonde del nostro essere, fino a prendere il nostro corpo.

"L'ultimo atto è la risurrezione della carne… L'uomo cristiano è l'uomo della risurrezione. Non si può tendere come fine a una vita puramente spirituale e tuttavia dobbiamo passare di là. Il cammino passa di là - dallo spirito verso la carne".[2]

Quando si dice che l'amore cristiano domanda di esser pronti a dare la vita per gli amici (cfr. Gv 15,13), si intende parlare anche del corpo. Il dono di noi non sarà completo finché, nella malattia e nella morte, non sarà coinvolto anche il corpo, allora il Cristo ci avrà preso interamente, trasferendo in noi la sua passione.

Gesù vuole "assumere" tutto di noi fino alla nostra sensibilità, vuole far sua la nostra stessa ricchezza affettiva per amare attraverso noi. Solo con le nostre mani può ancora accarezzare i bambini, può esprimere, in gesti visibili, la purezza e la tenerezza divina del suo amore nella forza ricreatrice dello Spirito.

Noi, da parte nostra, dobbiamo vivere l'olocausto delle nostre energie affettive, offrendole a Gesù perché viva e si esprima in noi e attraverso noi. La differenza tra l'olocausto e il sacrificio è che quest'ultimo si fa una volta per tutte, mentre il primo è costantemente offerto, è il roveto della Scrittura che brucia senza mai spegnersi (cfr. Es 3). Dio santifica la nostra sensibilità quanto più viviamo la fedeltà a questo olocausto; tutti: sacerdoti, laici, persone consacrate… siamo chiamati, in modi diversi, a vivere quest'offerta a Dio della nostra carica affettiva, fino all'unificazione interiore della nostra persona integralmente presa.

Il Verbo, irrompendo con la forza dello Spirito nella nostra umanità liberata, potrà allora manifestare la tenerezza e l'ardore del suo Cuore immacolato vibrante d'amore per gli uomini e le donne di tutti i tempi.

 

Impegniamoci, allora, in questo periodo ad offrire a Dio tutte le nostre energie affettive per permettere a Gesù e a Maria di vivere in noi e di amare attraverso noi ogni prossimo che incontriamo.

Amiamo, col nostro cuore sintonizzato su quello di Maria, amiamo con un cuore di Madre; dilatiamo il nostro cuore alle dimensioni del Cuore di Gesù, per amare tutti e ciascuno, senza esclusione di persone. 

Restandovi unita,

sr. Nunziella Scopelliti


[1] Cfr. San Massimiliano Maria Kolbe, Chi sei, o Immacolata?, Ed. Monfortane, Roma 1982.
[2] Divo Barsotti, Ebbi a cuore l'eterno, Ed. Rusconi, Milano 1981, pp. 71-72.

Questa meditazione della Madre viene approfondita per tutto il mese, negli incontri promossi dall'Istituto delle Suore del Bell'Amore e relativi Cenacoli, come anche altrove.

Meditazione proposta dalla Madre come Punto luce del mese di novembre 2013. 

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Godiamo di Dio

Carissime e carissimi tutti,

mi sembra importante in questo mese tornare a meditare su un punto fondamentale della nostra spiritualità e della vita cristiana in genere, si tratta di imparare a godere di Dio, si tratta cioè di mettere in pratica la frase del salmo che ci invita a "gustare e vedere quanto è buono il Signore" (cfr. Sal 34,9), dove dire buono significa anche "bello".

 

Il gusto della bellezza

Spesso, nella nostra ricerca di Dio, mescoliamo tante altre cose, che non sono cattive, ma che ci impediscono una vera esperienza dell'Amore bello, finiamo così col non riuscire a gustare e a vedere com'è buono il Signore (cfr. Sal 34,9).

A volte pensiamo che dobbiamo obbedire a Dio, rispettarlo, onorarlo, lodarlo, fare la sua volontà, amarlo; forse non abbiamo pensato che dobbiamo giungere a "gustarlo". Gustare è, in qualche modo, godere di Dio.

Il gusto e il godimento coinvolgono la dimensione sensibile e spirituale della nostra persona.

Perché non riusciamo a gustare e a godere Dio? Perché abbiamo perso il gusto della bellezza, è una conseguenza del nostro peccato. Solo attraverso un cammino di purificazione possiamo riacquistare quella libertà, che ci permetta di ritrovare questa capacità di godimento… eppure l'Amore bello, che è Dio, domanda l'accoglienza in noi di questa limpida gioia.

Non si tratta di un godimento utilitaristico come la soddisfazione, che può venirci dal disporre di un bene o di una qualche ricchezza per un fine particolare. Non siamo qui neanche nel campo morale centrato sulla virtù e sulla ricerca del bene.

L'utile, il bene, il vero sono i criteri di molte delle nostre scelte anche "sante". Persino amare Dio per conquistare il Paradiso, cioè la nostra personale felicità, può essere ancora una maniera di rapportarci con lui un po' interessata.

Soltanto davanti alla contemplazione della bellezza, la creatura umana è capace di uscire fuori di sé.

Davanti a un bel panorama possiamo talmente lasciarci prendere e godere, da dimenticare, anche per un attimo, noi stessi. 

Godere di Dio e degli altri

Quante volte, nel nostro modo di amare, continuiamo a restare noi stessi al centro.

Quante incomprensioni dipendono dal fatto che cerchiamo di imporre le nostre vedute, il nostro punto di vista, le nostre aspettative!

Se solo per un attimo riuscissimo a godere dell'altra persona, con cui entriamo in relazione, senza pensare a niente, allora sperimenteremmo una frazione di cielo, di beatitudine…, ma in genere non ce la facciamo… non siamo capaci né di gustare, né di godere del nostro prossimo. Spesso, incapaci di ammirare, di meravigliarci, di gioire, tentiamo la grande strada dell'impegno morale e, non sempre, pensiamo che il Cristianesimo non consiste tanto in questo: anche i non cristiani possono essere delle persone moralmente virtuose. La santità a cui Dio ci chiama non è un insieme di virtù morali, quante volte sperimentiamo il fallimento del nostro sforzo di amare. Seguendo Dio potremo ritrovarci ad essere pazienti, fedeli, casti, virtuosi, ma come conseguenza della fede e dell'abbandono fiducioso in lui, che ci abita e ci ha fatto suoi figli.

L'Amore bello, che è in noi, ci domanda di godere della Bellezza, che è Dio.

Che cos'è più facile, godere o impegnarsi?

Certamente è più bello godere, ma, a mio avviso, è più facile impegnarsi. Una persona può liberamente decidere di comportarsi bene, ma la gioia non se la può dare… Eppure la Parola di Dio ci comanda di gioire.

«Ve lo ripeto ancora, rallegratevi!»(Fil 4,4), dice S. Paolo: si tratta di un comando. Forse fino adesso non abbiamo preso abbastanza sul serio, nel Cristianesimo, questo comando del godere.

Nell'amore dobbiamo imparare a godere sia di Dio, sia degli altri perché, in un certo senso, il mistero è unico.

Dobbiamo imparare a dire a coloro a cui vogliamo bene col nostro atteggiamento: "Sono felice perché tu esisti!"… e questo al di là di ogni nostra personale aspettativa.

Se impariamo a godere dell'altro perché esiste, dimenticandoci di tutto, anche di noi stessi, sperimenteremo l'Amore puro… bello.

Se volgiamo lo sguardo a Dio, vediamo che è Amore, armonia senza fine: …è …Dio! 

Abbandono fiducioso

Spesso, se non riusciamo a godere, pienamente, di Dio, è perché pensiamo che non siamo degni di lui, che abbiamo peccato; non crediamo abbastanza al suo amore: sentiamo che abbiamo delle cose da regolare con lui e non osiamo neppure "guardarlo".

Altre volte siamo presi dalle nostre preoccupazioni e non riusciamo a vibrare davanti alla gioia di Gesù risorto; siamo interessati al suo aiuto, ma non a godere di lui e della sua infinita beatitudine, senza interessi né spirituali, né materiali, gratis.

Vediamo Dio come colui che ci salva, ci fa andare in Paradiso, ci aiuta con la sua provvidenza, ci sostiene nelle prove, ma non come colui, del quale possiamo godere.

A volte, quando pensiamo di aver vissuto bene, godiamo della nostra santità, della nostra vita rinnovata dalla grazia.

Dobbiamo, invece, imparare a guardare Dio, a gioire persino del fatto che i nostri peccati non tolgono a lui la sua infinita pienezza e beatitudine. Più amiamo Dio con disinteresse, felici di lui, più i nostri peccati sono perdonati, com'è successo al buon ladrone che ha compreso, in croce, la bellezza dell'amore del Redentore crocifisso ed è entrato nella gioia del suo Signore (cfr. Mt 25,21).

Non è in nostro potere amare Dio, se egli stesso non ce ne dà la capacità, ma bisogna che egli sia importante per noi, bisogna che impariamo a guardare a lui non in funzione nostra, ma in funzione sua.

Lasciamo che finalmente Dio sia Dio in noi.

Anche se avessimo commesso i più grandi peccati, cosa sono tutti i peccati dell'umanità di tutti i secoli in confronto alla misericordia di Dio? Sono una mosca sul Cremlino.

I nostri peccati non fanno alcun problema a Dio, ma a noi, al nostro orgoglio. Vorremmo spesso presentarci davanti a lui con le carte in regola, vorremmo arrivare alla fine della vita con tanti meriti, sentendoci a posto…, ma non esiste altro salvatore al di fuori di Gesù. Noi non siamo i salvatori di noi stessi, il peccato più pericoloso è non fidarci di Dio; se proviamo a godere del fatto che Dio è immensamente buono, se per un attimo gustiamo la sua bontà infinita, lo Spirito Santo potrà darci di percepire che siamo amati da Dio, oggetto del suo amore.

Dio è Amore sommo, Bellezza ineffabile…, godiamo del fatto che nessuna nostra sofferenza o prova può distruggere la sua Bellezza o turbare la sua beatitudine, al contrario… la sua Bellezza può trasformarci.

Dio ci basta! Amiamolo, amiamo le persone care in lui, amiamo tutti in lui; godiamo di lui, è il nostro tutto, è tutto! Egli ci invita alla santità: «Siate dunque santi, perché io sono santo»(Lv 19,2).

La vita di Dio è la nostra, la sua santità è la nostra. Egli solo è santo, nessuna creatura è santa, anche i santi sono dei peccatori, che hanno creduto all'amore di Dio.

La nostra santità non aumenta quella di Dio, perché quest'ultima non si moltiplica nelle sue creature, che ne partecipano in un unico stupendo mistero.

Mettiamo Dio al suo posto nella nostra vita, permettiamogli di essere Dio in noi, godiamo della sua santità, anche al di là di noi, lasciamo a lui i nostri peccati e il problema della nostra salvezza; è meglio che ci pensi lui; questa è già la salvezza in atto, questa è la primizia della gioia che ci attende.

 

Viviamo, allora, in questo mese ogni istante nell'amore, imparando a riconoscere la presenza di Dio in ogni circostanza della vita e a godere del suo amore, che è sempre "bello" anche e ancora di più quando si presenta nel volto del dolore di Gesù Crocifisso; cosa c'è di più bello e commovente dell'Amore del nostro Redentore?

Godiamo allora di Dio ogni momento, sia nella gioia, sia nel dolore, è possibile se restiamo nell'amore.

 

Con affetto vi benedico

vostra sr. Nunziella

Questa meditazione della Madre viene approfondita per tutto il mese, negli incontri promossi dall'Istituto delle Suore del Bell'Amore e relativi Cenacoli, come anche altrove.

Meditazione proposta dalla Madre come Punto luce per il mese di ottobre 2013.

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«Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16)

Carissime e carissimi tutti,

in questo mese di ottobre, mi piace approfondire con voi la dimensione missionaria della Chiesa.

 

Gesù, nel Vangelo, dice spesso di essere stato mandato dal Padre per annunziare una buona notizia, riguardante il regno di Dio.

La buona novella, che Gesù viene a portarci, è la salvezza, che esige da noi una conversione costante; egli ne parla nei suoi discorsi e nella sua predicazione, con l'autorità di colui che è stato inviato dal Padre: «Mai un uomo ha parlato così!» (Gv 7,46); le sue parole e i suoi gesti toccano profondamente il cuore; chi vede lui, vede il Padre (cfr. Gv 14,9), l'amore del Padre che lo ha mandato.

Gesù, il primo evangelizzatore, viene a comunicarci la sua stessa vita, ad accoglierci nella sua famiglia: la Trinità; andandosene, trasmette alla Chiesa la sua stessa missione.

Egli si è incarnato ed è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi (cfr. Gv 11,52); prima di andarsene, invia gli apostoli ad evangelizzare tutte le genti: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20,21). «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura»(Mc 16,15).

La buona notizia del regno di Dio è destinata, allora, all'umanità di tutti i tempi e di tutti i continenti.

La Chiesa, depositaria della buona novella e inviata a tutto il mondo, annuncia, con la parola e con la vita, che Gesù è il Salvatore e l'unico Redentore. Esiste una relazione vitale fra Gesù e la sua sposa: la Chiesa immacolata, ma anche piagata da tanti mali. Dire di amare Cristo senza amare la Chiesa è un assurdo: « ...chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10,16).

Da cristiani dobbiamo sentire il dovere di fare conoscere questa buona notizia: Dio ci ama e ha mandato suo Figlio per riunirci in una sola famiglia; la salvezza è per tutti, senza esclusione di persona. Tutto passa, Dio resta. La nostra patria è il cielo. Il Vangelo è un messaggio di liberazione e di amore, che esclude ogni violenza e che è capace di fondare un mondo più giusto.

Siamo chiamati ad evangelizzare prima di tutto con la nostra vita, amandoci come Gesù ci ha insegnato. Questa testimonianza, spesso silenziosa, spinge coloro che ci vedono a interrogarsi o a interrogarci, in quest'ultimo caso, possiamo raccontare a chi ce la domanda la nostra esperienza di Dio, che sarà tanto più convincente se, prima della parola, sarà la nostra vita a parlare.

In ogni caso, siamo chiamati ad annunziare il Vangelo. È quanto leggiamo nella lettera ai Romani dell'apostolo Paolo: «Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? Dunque, la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,14b.17).

La predicazione può assumere parecchie forme; nel nostro mondo moderno, la diffusione dell'annuncio del Vangelo può essere, enormemente, favorita dall'uso dei mezzi di comunicazione sociale, posti a servizio dell'Amore; per molti cristiani, però, il modo di annunciare il Vangelo più immediato resta il contatto personale.

Davanti a ogni persona, poniamoci con l'amore e il rispetto di chi vuole far sì che quel cuore si apra a Cristo Signore. Ripetiamo spesso, durante la giornata: «Per te, Gesù, per te tutti i cuori», e lavoriamo per questo, aspettando per noi una sola ricompensa: Gesù stesso; diciamogli con convinzione: «Per me solo tu, Gesù».

Dobbiamo sentirci membri di quella grande famiglia, che è la Chiesa universale, distesa su tutti i continenti.

A volte, andando a S. Pietro, ci si sente a casa; ma non dimentichiamo che è la Chiesa particolare, in cui siamo inseriti, il luogo concreto in cui possiamo restare, vitalmente, in comunione con la Chiesa universale.

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). La Chiesa è presente nelle varie Chiese locali, ovunque è chiamata ad evangelizzare; in essa ognuno svolge la sua funzione, in una diversità di servizi e di ministeri.

Nell'ambito della missione evangelizzatrice della Chiesa, un compito particolarissimo spetta ai giovani, chiamati ad essere apostoli degli altri giovani; da loro, gli altri coetanei attendono di sentire quella buona notizia, che può far loro trovare, fra i vari valori e disvalori del mondo contemporaneo, l'unica realtà che resta per sempre: Dio.

Non sono, però, solo le nuove generazioni ad attendere la parola della salvezza, ma tutti, a cominciare dai più lontani: coloro che non hanno ancora sentito parlare di Gesù, coloro che, pur essendo membri della Chiesa, non vivono cristianamente, gli appartenenti alle altre religioni, chi non crede o ha bisogno di approfondire la sua fede…

Il Vangelo è per l'umanità di tutti i tempi e di tutte le culture.

La Chiesa intera è missionaria. Siamo chiamati a comunicare la fede che abbiamo ricevuto. Lasciamo risuonare in noi le parole di Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra;e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49).

Animati da un grande amore verso coloro che incontriamo, col fervore dei missionari e degli apostoli, non arrestiamoci davanti a nessun ostacolo, «guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16), è un imperativo forte e chiaro.

Ricordiamoci che, spesso, siamo proprio noi i primi ad essere evangelizzati dagli altri, che vorremmo aiutare. Il mondo ha bisogno di santi, di autentici testimoni. Siamo chiamati, con e in Maria, col nostro amore, a generare, nello Spirito, Cristo nei cuori. L'unità fra noi è la prova che siamo autentici discepoli di Gesù, non avvenga mai che, mentre annunciamo il Vangelo, siamo divisi tra noi.

«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). La carità reciproca ci rende credibili agli occhi degli altri, «tutti siano una sola cosa, ...perché il mondo creda» (Gv 17,21).

L'esito dell'evangelizzazione è legato alla testimonianza di comunione che sapremo dare, nel rispetto della distinzione delle persone e delle varie realtà.

 

In questo mese di ottobre, viviamo, allora, in modo da essere per tanti strada per Cristo, ripetiamoci spesso: «guai a me se se non annuncio il Vangelo!».

 

Vi resto unita, in Gesù e Maria,

sr. Nunziella Scopelliti

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