MAGGIO 2022

Carissime e carissimi tutti,

siamo ancora in pieno periodo pasquale, mi sembra bello perciò dedicare questo Punto luce alla contemplazione di Gesù risorto, fondamento della nostra fede e della nostra speranza per opera sua abbiamo ottenuto la remissione dei peccati. Egli, morto per noi, non ha subito la corruzione e, glorificato dal Padre, è diventato principio di risurrezione e di vita nuova per tutti noi e per l’intero cosmo.

La risurrezione di Gesù è l’inizio della Nuova creazione, nella quale anche la materia si ordinerà allo spirito in perfetta armonia. Cristo risorto è il nostro futuro e quello dell’universo, egli è per sempre il pane dato per noi, l’Amore del Figlio di Dio espresso anche umanamente nel supremo dono di sé sulla croce, la morte datrice di vita, eternizzata nella gloria della risurrezione. L’umanità di Gesù glorificata è resa partecipe della divinità del Verbo di Dio.

La risurrezione coinvolge tutta la storia dell’umanità e dell’universo.

Proviamo, allora, a inoltrarci nella contemplazione di questo grande mistero, facendoci guidare dalla Parola di Dio.

 «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» (1Cor 15,17), così afferma san Paolo ponendo subito dopo, proprio nella certezza della risurrezione, il fondamento della nostra fede in Cristo Gesù.

Le apparizioni del Risorto ai pochi testimoni, che Dio ha scelto per manifestarsi, ci mostrano chiaramente che non siamo davanti a un “risuscitato” che tornerà a morire, come nel caso di Lazzaro, ma davanti a una persona che vive in un’altra dimensione: Gesù risorto penetra a porte chiuse, ma si lascia toccare, non è un fantasma; siede a tavola coi discepoli di Emmaus, ma scompare allo spezzare del pane; nessuno lo riconosce al suo apparire, Maria lo scambia per l’ortolano, solo all’accendersi della luce interiore della fede da lui suscitata, egli si fa riconoscere.

Tutto mostra che non ci troviamo davanti a esperienze mistiche dei vari protagonisti, ma davanti a veri e propri incontri con una persona vivente, che li sorprende e sconvolge.

La risurrezione di Gesù non è un miracolo sia pure straordinario, ma un mistero che coinvolge tutta l’umanità e l’intera creazione.

Se Cristo è risorto anche noi risorgeremo, perché in lui tutti riceveremo la Vita eterna (cfr. 1Cor 15,22).

C’è da chiederci con quale corpo risorgeremo.

A questo proposito san Paolo così spiega nella prima lettera ai Corinzi: «Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito e a ciascun seme il proprio corpo» (1Cor 15,36-38).

La risurrezione di ciascuno di noi implica per Paolo un atto creativo di Dio, che darà a ciascun seme il proprio corpo ormai libero dai condizionamenti terrestri, come egli stesso precisa: «È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità, è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1Cor 15,42-44).

L’identità personale di ciascuno di noi permane e il corpo glorioso, nella sua trasformazione, diventa un corpo spirituale, ma non un semplice spirito privo di materia, questa semmai viene purificata da ogni imperfezione per partecipare alla vita divina. La risurrezione è la divinizzazione di tutta la persona umana integralmente presa.

Solo nel mistero di Gesù risorto è possibile, però, spiegare o balbettare qualcosa di questa sublime realtà.

La risurrezione di Gesù è la sua entrata in una dimensione nuova, non soggetta allo spazio e al tempo.

La morte di Gesù assunta da lui non pone fine alla vita, ma fa morire la morte, diventando varco della risurrezione che non avviene dopo la morte, ma nella morte stessa.

È lo stesso Gesù crocifisso morto in croce che viene glorificato nell’unità anima-corpo, ricevendo un’esistenza pienamente umana, ma diversa da quella terrena. Nella risurrezione di Gesù, Dio inaugura la Nuova creazione, non più dal nulla, ma dalla realtà di Cristo storico. Alla creazione subentra la Nuova creazione a partire da Gesù risorto.

Se consideriamo il corpo umano in se stesso, va a questo punto precisato che esso, nella sua realtà fisiologica e biologica, soggetta alla crescita e alla decomposizione, costituisce per ogni persona la possibilità di esprimere la vita dell’anima e di intavolare relazioni con Dio, con gli altri e con il creato.

La risurrezione ricomporrà per ciascuno di noi il rapporto armonioso corpo-anima e la piena vita relazionale con Dio, con gli altri e col cosmo. Nella risurrezione la materia trasformata non farà più ostacolo allo spirito umano.

Noi viviamo condizionati dallo spazio e dal tempo, il nostro corpo ci mette in rapporto con tutti e con tutto, è centro di relazioni col cosmo, del quale siamo parte, pur tendendo a dominarlo.

Gesù risorto domina l’universo, non è più condizionato dallo spazio e dal tempo, ma contiene in se stesso tutta l’umanità e il cosmo, egli è presente corporalmente ovunque, tutto riempie di sé, tutto contiene in sé, tutto penetra e vivifica.

Il corpo di Gesù, durante la sua esistenza terrena non è mai stato di ostacolo alla vita dello spirito, ma ha partecipato pienamente al dono totale di sé al Padre e a noi tutti fino alla morte.

Il sacrificio della croce liberamente accettato ha trasformato la morte in vita piena, quella del Figlio di Dio. La morte d’amore del Crocifisso è eternizzata dalla risurrezione, assunta da Cristo è “divinizzata” e dona la vita.

Gesù risorto è anche umanamente, nel suo essere corporeo e spirituale, il Figlio, la sua umanità glorificata è resa partecipe della divinità del Verbo.

La risurrezione di Gesù non è, però, un fatto personale, che riguarda solo lui, ma ha un risvolto cosmico, è il compimento della storia della salvezza e del disegno di Dio sull’umanità e sul creato.

Tutta la creazione, come ben spiega san Paolo, attende con impazienza di essere liberata dalla corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cfr. Rom 8,19-22); la creazione attende la Nuova creazione: i cieli nuovi e la terra nuova (cfr. Ap 21,1).

Il Risorto è il fine della storia; egli salendo al Cielo, alla destra del Padre, non si allontana da noi, anzi il Cielo è lui stesso che tutto contiene in sé. Egli è presente all’universo in modo nuovo, egli è presente a noi in modo intimo e profondo.

Risorgendo, Gesù ci porta con sé, egli è con noi sempre, la Parusia non sarà la sua venuta definitiva, quasi il suo ritorno, ma la sua manifestazione, perché Gesù non è assente dal mondo ma presente in modo nuovo, in forza della sua risurrezione.

Gesù risorto è presente all’umanità di tutti i tempi, egli contiene in se stesso ogni tempo e ogni spazio, è il centro della storia; nel suo corpo glorioso gli uomini e le donne di tutti i luoghi e di tutte le epoche possono radunarsi e ritrovarsi in unità.

La comunione di tutti in Cristo è stata pagata da Gesù crocifisso ed è iniziata con Gesù risorto. L’unità è la caratteristica distintiva dell’umanità nuova.

Il Risorto, però, è anche causa della ricapitolazione universale del cosmo, creato da Dio per noi; c’è un legame indissolubile fra noi e la creazione.

La creazione tende alla sua liberazione; Gesù risorto quale fine ultimo a cui il cosmo è ordinato, esercita fin da ora la sua influenza e il suo influsso sul mondo, salendo al Cielo, si è reso vicino a noi e al cosmo in modo nuovo.

Con la risurrezione di Gesù l’umanità e il creato sono già entrati in Dio nel corpo del Risorto, è così iniziato il ritorno della creazione nel seno del Padre, che si compirà nella Parusia.[1]

 

sr. Nunziella

 

 

SLOGAN: Nel Risorto ci muoviamo e siamo, cerchiamo le cose di lassù.

 

[1] Cfr. G. Rossé, La risurrezione di Gesù in Nuova Umanità I (1979) 4/5, pp. 51-72.

Marzo 2022

Carissime e carissimi tutti,

davanti alle varie vicende della nostra vita, alle tensioni della vita sociale e ai mali che affliggono il mondo spesso in modo tragico e angosciante potremmo arrestarci nel cammino della santità e chiuderci in noi stessi, difendendo le nostre sicurezze e il nostro io, sopraffatti dalle nostre paure. Non è questa la strada da percorrere se vogliamo camminare nella luce e non nelle tenebre. Quel che conta non è lasciarci prendere dalle analisi negative di ciò che accade, ma fare il vuoto dentro di noi per amare con totalità, nell'attimo presente, il fratello o la sorella che ci sta innanzi, per compiere con pienezza la volontà di Dio, rinnegando la nostra.

È la strada evangelica del rinnegamento di sé indicataci da Gesù l'unica che può condurci nella via dell'Amore.

 

 

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Queste parole di Gesù spiegano la radicalità della sequela che i suoi discepoli sono chiamati a vivere: il totale rinnegamento di sé come condizione e conseguenza di un'autentica donazione a Dio e agli altri. Dobbiamo saperci fare interiormente vuoti di tutto ciò che ci impedisce di vivere la comunione con Dio e con gli altri, vuoti del nostro io. Siamo chiamati, innanzitutto, a posporre ogni cosa all'amore per Dio, solo così saremo capaci di amare anche gli altri, come Gesù vuole.

Il rapporto con Dio e fra coloro che sono chiamati a formare la comunità unita nel nome di Gesù esige il dono totale di sé che porta a distaccarsi da ogni attaccamento disordinato a persone e cose. Tale distacco è richiesto a tutti i cristiani indistintamente.

Se non siamo capaci di distaccarci da tutto, anche dalla nostra presunta santità personale, dalla nostra volontà, per fare la volontà di Dio non possiamo essere autentici discepoli.

Se amiamo padre, madre, figli, moglie, campi più di Dio, non possiamo camminare alla sequela di Gesù, come egli stesso ci insegna: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 26).

Niente deve occupare o ingombrare il nostro mondo interiore. San Giovanni della croce spiega come un piccolo attaccamento abituale "quantunque non sia materia di peccato mortale, è sufficiente per far diventare l'anima tanto schiava, sudicia e brutta che in nessun modo, finché l'appetito non sia purificato, essa può unirsi con Dio"[1]. Si può trattare dell'affetto per una persona cara, dell'attaccamento a un vestito, a un determinato genere di cibi, di conversazioni, di conoscenze, ecc. Queste imperfezioni, se diventano delle abitudini, sono più pericolose di altre cadute, esse anche se sono di lieve entità legano l'anima a tal punto che non solo non la fanno avanzare nel cammino della santità, ma la fanno retrocedere, facendole perdere ciò che in tanto tempo e con tanta fatica aveva guadagnato[2].

In epoca più recente, nell'ottica della Chiesa della comunione, Chiara Lubich invita a vivere il rinnegamento di sé, non solo liberandosi da ogni attaccamento per le persone e le cose create, ma anche per Dio stesso, guardando a Gesù crocifisso e abbandonato, che si è donato tutto a noi fino a perdere Dio per Dio, facendosi "nulla" per amore. Sulla stessa scia, anche noi vogliamo vivere la comunione con Dio e con gli altri, facendoci interiormente vuoti di tutto, anche di ciò che ci sembra un'ispirazione o un'esperienza di Dio, per donarci interamente, nel presente, a Dio, nel compimento della sua volontà e al nostro prossimo nell'amore scambievole. Solo così, attraverso questo perfetto rinnegamento del nostro io, l'unità con Dio e tra noi sarà possibile.

In questa prospettiva la rinunzia acquista una valenza positiva, siamo centrati sulla comunione, sul dono totale di noi a Dio e agli altri, senza guardare tanto a quello che perdiamo; la rinunzia, il vuoto interiore è piuttosto la conseguenza dell'amore che ci fa uno con Dio e fra noi. Più ci doniamo, più ci svuotiamo del nostro io. In tal modo ci facciamo santi, camminando insieme, per vivere fra noi la comunione trinitaria. Come il Padre è tutto nel Figlio e non è per sé, così il Figlio è tutto dono per il Padre e non è per sé, così lo Spirito Santo è dono per il Padre e il Figlio. La perfetta pericoresi delle Persone divine è una dinamica di unità e distinzione dove il dono totale e reciproco presuppone la perfetta Kenosi dell'amore delle Persone della Trinità, che mirabilmente Gesù abbandonato esprime sulla croce nel mistero della sua passione, dove si fa redenzione attraverso il suo svuotamento totale per darsi a noi, così come nella Trinità si dona al Padre, lì in una Kenosi, per così dire, gioiosa, qui in una kenosi dolorosa e attraversata dall'esperienza dell'abbandono.

Anche noi siamo chiamati a guardare a Gesù crocifisso e abbandonato per vivere il "nulla di noi", il rinnegamento di noi stessi fino a saper perdere Dio per Dio, come Maria che, ai piedi della croce, ha perso Gesù, ha fatto il sacrificio del Figlio Dio per fare la volontà di Dio, accettando di diventare nostra Madre, accogliendo tutti in Giovanni, al posto del Figlio.

Il "nulla" di san Giovanni della croce da lui inteso come totale spogliamento di sé da qualunque attaccamento o passione per giungere all'unione con Dio, nell'ottica della Chiesa della comunione diventa così il nulla di sé, il vuoto interiore vissuto in comunione con Gesù crocifisso per giungere all'unità con Dio e fra noi. Nella sua passione d'amore Gesù abbandonato non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,6-7), in tal modo è diventato per noi il varco alla Trinità.

Dobbiamo accogliere Gesù in noi sul nulla di noi per poter giungere a dire: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), solo così potremo veramente amare Dio e gli altri, solo così giungeremo a farci uno col fratello o con la sorella che incontriamo, condividendo le sue pene e le sue gioie., vivendo negli altri e per gli altri, donandoci a loro nel perfetto rinnegamento di noi stessi. È la strada per seguire Gesù facendo come lui e con lui la volontà di Dio, amando Cristo vivo e presente in ogni prossimo, fino a giungere a vivere il comandamento nuovo che ci fa una cosa sola in lui.

Il rinnegamento di sé richiede di saper perdere la propria vita per salvarla come dice Gesù: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,34-35).

È la logica del Vangelo, è la morte d'amore per la Vita. Non è il perdere per il perdere, una religione del perdere non ha nessuna attrattiva, è piuttosto trovare la pienezza del rapporto con Dio e col prossimo attraverso il dono totale di noi stessi che ci svuota del nostro io.

Non guardiamo tanto a ciò che dobbiamo perdere, ma a ciò che dobbiamo donare e accogliere in noi; lasciamo entrare nella nostra vita Dio e gli altri, per arricchirci del loro dono. Siamo stati creati da Dio per essere reciproco dono gli uni per gli altri, l'amore ci mette in donazione e opera il rinnegamento del nostro io.

Chi ama non vive per se stesso ma per Dio e per gli altri, non fa la sua volontà ma quella di Dio e, in tal modo, vive costantemente il vuoto di sé per accogliere in sé la pienezza dell'Amore.

Dio sia tutto per noi, viviamo di lui, per lui e non per noi stessi, in tal modo vivremo di conseguenza il nulla di noi, ma non un nulla negativo, ma un nulla d'amore come Gesù crocifisso e abbandonato che è giunto a sperimentare nell'abbandono la perdita di Dio stesso per donarlo a noi.

È questa la strada del rinnegamento di sé che nella via dell'Amore ci porta alla pienezza, attraverso lo svuotamento interiore di tutto ciò che in noi non è Dio e anche da Dio stesso, così come possiamo averlo sperimentato, per aprirci continuamente ai nuovi cieli dell'Amore, a cui egli vuole condurci, come Maria che, sotto la croce, ha perso il Figlio di Dio, l'ha offerto e donato, ed è diventata la Madre di tutto Cristo: Capo e corpo, la Madre della Chiesa.

sr. Nunziella

 

 

 

  

SLOGAN:             Vivere la pienezza dell'Amore nel vuoto di sé.

 

[1] San Giovanni della croce, Salita del Monte Carmelo I, 9,3, in Opere, Postulazione Generale dei carmelitani Scalzi, Roma 1979, p. 44.

[2] Cfr. Ibidem, p.51-52.

 

Carissime e carissimi tutti,

eccomi di nuovo a voi, come di consueto, per riprendere il nostro cammino nell’ottica di questo nuovo punto luce, che vuole approfondire il mistero dell’unità fra noi in Cristo Gesù.

Dio Trinità, solo e completo in tutto, ha da sempre concepito un piano d’amore volto a comunicare la sua vita divina fuori di sé alla creazione, chiamandoci a partecipare alla comunione trinitaria in Cristo attraverso l’incarnazione del suo Verbo fatto uomo e la ricapitolazione universale dell’umanità e del creato in lui nella pienezza della parusia che verrà e verso la quale siamo incamminati. In questa esaltante prospettiva vorrei meditare con voi la bellezza dell’unità a cui siamo chiamati se ci apriamo all'azione di Dio e ci amiamo come Gesù ci ha amati, cioè fino al dono della vita come egli ha fatto sulla croce.

 

Il comandamento nuovo di Gesù ci chiede di amarci reciprocamente come lui ci ha amati, cioè fino al punto di dare la vita l’uno per l’altro, solo così saremo uniti nel suo nome e potremo sperimentare la presenza viva di Gesù fra noi. Egli, infatti, afferma nel Vangelo che dove due o più sono uniti nel suo nome, egli è in mezzo a loro (cfr. Mt 18,20). È interessante notare che egli parla di “due o più” senza precisare altro, si può dunque trattare di due persone qualunque di diversa età, cultura, condizione sociale, credo e religione. Se esse si riuniscono nel nome di Gesù, il loro incontro produce un fatto straordinario: il Risorto si fa presente fra loro, illuminando e riscaldando la loro vita e quella di coloro che entrano in relazione con loro; succede come quando in un circuito elettrico il contatto del polo positivo con quello negativo produce luce, calore, energia...

Tale presenza di Gesù, del Santo fra noi, è tale che davanti ad essa tutto va posposto anche la nostra santità personale, e ciò è possibile se ci facciamo vuoti davanti al fratello e alla sorella da amare, accogliendo Gesù fra noi e in noi, in ciascuno di noi, sul nulla di noi, facendoci dono d’amore come Gesù crocifisso e abbandonato che non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha spogliato se stesso, assumendo la natura di servo (cfr. Fil 2, 6-7).

Gesù crocifisso che, sulla croce, giunge a gridare «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mc 15,34) fa, in qualche modo, l’esperienza di perdere Dio per donarcelo, per renderci cioè partecipi della natura divina. Anche noi, se vogliamo fare l'esperienza concreta dell'unità con gli altri, dobbiamo saper perdere tutto, anche la nostra precedente esperienza di Dio, anche le nostre certezze, per diventare un vuoto d'amore, per rinnegare noi stessi e farci puro dono, solo così, se dall'altro lato il fratello o la sorella risponderanno con lo stesso amore, allora l'unità in Gesù sarà piena; va detto, però, che egli l'ha chiesta per noi al Padre, nella preghiera sacerdotale: «Tutti siano una cosa sola… perché il mondo creda» (Gv 17,21).

L'unità fra noi è, dunque, un dono di Dio da chiedere nella preghiera e a cui aprirci per accogliere l'Emanuele, Dio fra noi, sul nulla di noi.

Non possiamo costruire l'unità coi nostri sforzi umani, né possiamo godere di questa grazia, se non restiamo fedeli all'amore reciproco guidati da Gesù abbandonato unica via per giungere alla vera unità.

La presenza di Gesù fra noi non è stabile, possiamo perderla se non siamo più pronti a dare la vita gli uni per gli altri, essa esige il restare uniti nel suo nome, cioè il dono totale di sé.

Impariamo a dichiararci, esplicitamente, l'un l'altro, la nostra volontà di essere uniti in Cristo a qualunque costo. Diciamoci reciprocamente: "Io sono pronto a dare la vita per te e tu?". Facciamo tra noi il patto di restare uniti, ricominciando sempre, per custodire la presenza di Gesù fra noi, sul nulla di noi, fatti in Maria a con Maria vuoto amante, silenzio d'amore.

Gesù fra noi è la fonte della nostra gioia, è presente fra noi anche se fisicamente lontani, egli vale più della nostra vita.

Per sperimentare tale presenza operativa di Gesù in mezzo a noi, è, però, necessario essere uniti nel suo nome, senza incrinature o compromessi. Ci si potrebbe, infatti, unire per compiere una missione comune o un'opera di grande valore umano e sociale, ma ciò non basterebbe; per essere uniti in Cristo è necessario che egli sia l'unico motivo della nostra unità sul nulla di noi, cioè sul nulla di tutti i nostri progetti e interessi anche santi.

Guardiamo a Gesù abbandonato che si è donato pienamente a noi, vivendo il nulla di sé, per darci la vita di Dio, per farci figli e figlie di Dio; amiamoci reciprocamente come lui ci ha amati, solo così sperimenteremo l'unità in Cristo e diventeremo membra del suo Corpo mistico, Chiesa viva.

 

sr. Nunziella

 

 

 

 

 

 

SLOGAN:             Custodiamo la presenza di Gesù fra noi, in Maria.

 

 

 

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Carissime e carissimi tutti,

mi ritrovo spesso in questi giorni a meditare sulla bellezza della nostra vocazione cristiana e del mirabile piano di grazia che Dio Padre ha su ciascuno di noi in Cristo Signore. Siamo stati creati da Dio per la comunione, lasciamoci guidare da Gesù sulla via dell'Amore, abbandonandoci con fiducia alla sua amorosa conduzione. Guardiamo persone e cose con sguardo di fede, diffidando dei nostri pensieri e delle nostre impressioni personali, quando la tentazione ci porta a giudicare gli altri con sicurezza, dimenticando che solo Dio sa quello che c'è nel cuore di ogni suo figlio e figlia. Non fermiamoci alle apparenze, coltiviamo un sincero sentimento di umiltà, sapendo che dobbiamo ogni giorno imparare ad amare. Gesù vuole renderci partecipi della comunione trinitaria, ma non è possibile accogliere in noi simile grazia se non facciamo il vuoto dentro di noi, se non purifichiamo la nostra memoria da ricordi negativi per vedere con occhi nuovi ogni fratello e sorella e ricominciare ogni momento ad amare tutti e ciascuno con fiducia.

 

«Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9) è la risposta data da Gesù a Filippo che gli chiede di mostrargli il Padre, essa rivela il rapporto ineffabile che lega il Padre al Figlio nella Trinità, a cui fa cenno il prologo del Vangelo di san Giovanni: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1), era dunque presso il Padre all'inizio della creazione, perché «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3).

Mirabile unità della Trinità, dove la relazione d'amore del Padre e del Figlio è sostanziale, è lo Spirito Santo, che procede da entrambi!

La comunione trinitaria è l'unità-distinzione delle tre Persone divine, uguali e distinte.

Se Dio è Amore, tutto è stato creato per amore, tutto nella creazione dice relazione e reciprocità. Nel cosmo è, dunque, possibile cogliere un rapporto invisibile, una legge di armonia e un afflato di vita. Dio ha creato l'universo secondo un disegno d'amore, che manifesterà nella pienezza dei tempi in Cristo Signore.

Siamo creature uscite dalle mani di Dio, plasmate dal suo amore, fatte in mutuo dono le une per le altre.

Il cosmo riflette l'essenza del suo Creatore. La materia inanimata, il mondo vegetale e animale portano in sé le vestigia di Dio. Alberi, piante, animali tutto sta in relazione d'amore; un rapporto di reciprocità e mutuo aiuto è sottinteso a tutto il creato e sostiene l'equilibrio del cosmo.

Al centro della creazione si colloca l'«uomo» creato a immagine di Dio come relazione d'amore: uomo-donna, «comunione di persone», così come la Trinità è comunione di Persone.

Il cosmo è creato così in dono per l'uomo.

Comprendiamo perché l'«uomo», col peccato originale, ribellandosi a Dio, abbia negato se stesso, perché si è negato come relazione d'amore. Il peccato originale è rottura del rapporto con Dio, con la creazione e spaccatura dello stesso «uomo». L'equilibrio della creazione è stato sconvolto, ma Dio, nel suo amore infinito, ha escogitato una via di salvezza, una nuova creazione. Il racconto della creazione, con la caduta di Adamo ed Eva, si chiude, infatti, con l'annuncio della redenzione, quando Dio, rivolto al serpente, dice: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa» (Gn 3,15).

Maria, nuova Eva, è l'alba della nuova creazione. Per lei e in lei il Verbo si incarnerà, e la creazione assisterà ammutolita al prodigio di Dio fatto bambino in braccio ad una Vergine.

San Paolo, parlando di Gesù, ci dice che egli è venuto per rimettere l'umanità e il creato nella giusta relazione con Dio (cfr. Rm 10,4). Egli viene a riconciliarci in lui col Padre, fra noi e col cosmo.

Il mistero di Cristo assomma in sé la realtà della creazione e quella della redenzione. «Tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1,3), tutto sarà rifatto, ricapitolato per lui e in lui. Ecco l'inscindibile rapporto tra creazione e redenzione. La creazione attende la redenzione, che la porterà alla sua pienezza.

San Paolo esprime, mirabilmente, l'ansia della creazione quando dice che «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio… e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione» (Rm 8,19-21), in quel giorno in cui Cristo sarà tutto in tutti; solo allora, nella gioia della piena comunione, l'«uomo» sarà pienamente se stesso nel Verbo incarnato, sarà cioè in Cristo Signore, relazione d'amore con Dio, con l'umanità e col cosmo.

Noi siamo già, nella fede, quello che saremo, la nostra vita è già in Cristo risorto, tuttavia l'avvento del Regno di Dio, nella sua pienezza, deve ancora avvenire, da qui la necessità di rivedere la nostra vita e le nostre relazioni alla luce del mistero della creazione e della redenzione, alla luce cioè di questo splendido piano di grazia del Padre, da lui concepito per comunicarsi e rivelarci il suo amore in Cristo, nello Spirito; ci ha predestinati, infatti, ad essere suoi figli e figlie nel Figlio nella gioia della nuova creazione e nell'incanto dei nuovi cieli e della nuova terra che ci attende alla fine dei tempi.

Siamo stati fatti ad immagine di Dio per essere partecipi della vita di comunione della Trinità; amare è, allora, essere se stessi, è ritrovare il proprio equilibrio originario, è risanare le ferite inflitte dalle conseguenze del peccato originale; amare è risalire con Gesù, in Gesù, per Gesù una china, nella quale siamo caduti, su, su, fino a trovare l'armonia della nuova creazione, dove la relazione più perfetta rivelatrice di Dio è quella di Gesù con Maria, nella quale tutti noi siamo espressi e, in qualche modo, contenuti.

sr. Nunziella

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